Gentile direttora, non posso che manifestare tutto il mio rammarico per l’uso strumentale e i modi pressappochisti con cui, anche su questa testata, esponenti pugliesi della maggioranza del governo Meloni stanno trattando un tema serio e complesso come quello dei requisiti di accreditamento delle Rsa. Non tornerò sulle motivazioni che, in parte, mi portano a condividere le preoccupazioni dei gestori delle strutture. Il problema c’è, esiste, ma va affrontato con la dovuta correttezza e responsabilità istituzionale. Affermare che la Regione Puglia è deliberatamente contraria alla modifica delle regole vuol dire essere in malafede o, peggio, non aver compreso affatto gli aspetti principali del dibattito.
Come già ho avuto modo di ricordare su queste stesse pagine, vi è una norma nazionale che vincola le Regioni nel senso di prevedere, nell’ambito dei requisiti per l’accreditamento, che ogni struttura sia dotata di personale in relazione alle dimensioni e alla tipologia delle prestazioni erogate. E non vi è alcun dubbio che la determinazione del numero delle figure professionali debba essere rapportato al numero dei posti che sono oggetto di autorizzazione all’esercizio, il cui possesso, come chiarito dalla Corte Costituzionale, va verificato prima dello svolgimento di qualsiasi attività. Casi in evidente contrasto con questo principio, come quello delle Regioni Lombardia e Piemonte (che attraverso un furbo escamotage spostano il focus dal requisito in sé, allo standard “vigilato” dalle regioni stesse), non possono e non devono rappresentare un esempio. E non per difendere un rigorismo fine a se stesso. Piuttosto, perché da determinazioni come quelle possono derivare conseguenze serie.
In primo luogo, c’è una questione di fondo, perché se passasse l’idea di una gestione “dinamica” del personale in relazione al numero di ospiti presenti in struttura, allora ogni tipo di controllo sarebbe praticamente inutile, con tutto ciò che ne deriva in termini di tutela della salute dell’assistito e di qualità delle prestazioni erogate. In parole povere, un controllo si limiterebbe a fotografare un determinato momento, quello della verifica, senza però fornire alcuna garanzia sugli standard presenti dal momento successivo. In secondo luogo, vi sarebbe un problema di non poco conto in termini di tutela dei lavoratori. Perché se si autorizza una Rsa alla “autogestione” del proprio personale ciò non può che tradursi in licenziamenti e assunzioni improvvisate, all’aumentare o al diminuire degli ospiti presenti. Una situazione completamente caotica e irrealistica, a danno prima di tutto dei professionisti, e poi anche dei pazienti, a cui difficilmente si riuscirebbero a garantire gli standard di assistenza e cura richiesti. Senza parlare, inoltre, della logica dell’équipe interdisciplinare che regola gli standard minimi organizzativi, che complica ulteriormente la questione.
Insomma, gentile direttora, siccome in ballo non ci sono solo gli interessi dei gestori (che pure sono legittimi e da tenere in debita considerazione), inviterei chi in questi giorni è intervenuto nella discussione a valutare con attenzione le conseguenze dirette e indirette delle proposte fatte. La confusione, la superficialità e le strumentalizzazioni non porteranno alcun contributo alla risoluzione di questo importante tema.
Se, come sembra, il Governo nazionale non vuole interessarsi della questione, lo dica chiaramente. Anche perché il punto vero sono le risorse che servono per non far entrare in conflitto le recriminazioni delle strutture e i diritti dei lavoratori. Già l’incontro che si è svolto ieri tra i rappresentanti delle Rsa e la Regione Puglia ha gettato le basi per individuare una soluzione corretta ed equilibrata, che tenga insieme tutti gli interessi coinvolti. Una proposta che mi sento di suggerire, ad esempio, sarebbe quella di una compartecipazione statale alla retta come già accade in altre Regioni. In tal modo si ridurrebbe il rischio di impresa delle strutture nei momenti in cui la capienza non è al 100%, mantenendo sempre la piena dotazione di personale. Ovviamente, anche in questo caso sarebbe indispensabile l’intervento del Governo, chiamato a istituire un fondo dedicato per coprire il conseguente aumento dei costi. Insomma – non bisognerebbe mai dimenticarlo – il punto focale di tutta la questione è e deve restare garantire standard organizzativi adeguati all’imprescindibile esigenza di tutela degli ospiti e dei tanti professionisti interessati, sfuggendo dalle polemiche inutili e strumentali e cercando soluzioni sostenibili per i sistemi sanitari regionali.
Ubaldo Pagano – deputato del Pd