Il rapporto Svimez 2022, presentato ieri alla Camera dei deputati, non lascia spazio all’ottimismo: la previsione di crescita del pil per il 2023 delle regioni centro-settentrionali si attesta a +0,8% su base annua, mentre per le regioni meridionali vi è il rischio di una contrazione di –0,4%, un divario di oltre un punto percentuale che nel 2024 si ridurrà di poco, fermandosi a +0,9%, a fronte di +1,7% del Nord.
Sono previsioni che molto probabilmente dovranno essere riviste ulteriormente al ribasso. In questo contesto, non certo favorevole al Mezzogiorno, è tornata al centro del dibattito politico, la questione dell’autonomia differenziata, con la bozza presentata dal ministro Calderoli.
Ancora una volta, il nodo centrale è costituito dalla determinazione preliminare dei livelli essenziali delle prestazioni («concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale», articolo 117 della Costituzione), che secondo la bozza ministeriale potrebbero essere attuati in un secondo momento, realizzando l’immediato trasferimento delle funzioni sulla base «del criterio della spesa storica sostenuta dalle amministrazioni statali nella Regione per l’erogazione dei servizi pubblici corrispondenti».
Di fatto, in questo modo, il divario Nord-Sud sarebbe “istituzionalizzato” nelle forme del regionalismo differenziato. La volontà politica di anteporre il trasferimento immediato delle funzioni alla determinazione preliminare dei livelli essenziali delle prestazioni, manifestata sia dalle Regioni amministrate dalla Lega (Lombardia e Veneto, e formalizzata anche con referendum) che dalle Regioni sotto il governo del centro-sinistra (Emilia Romagna, ma anche Campania), rivela che l’unità nazionale si è ormai definitivamente infranta. L’obiettivo delle Regioni più sviluppate è quello di inserirsi sempre di più nel nucleo trainante dell’economia europea, rappresentato da una striscia di territorio europeo che corre dal Mare del Nord fino al Mar Ligure, partendo dalle regioni di Noord-Holland e di Amburgo, fino alla Lombardia-Veneto-Liguria, passando per la Renania-Palatinato. Sono Regioni il cui pil pro capite è superiore alla media europea: la Lombardia, con 37.300 euro di pil pro capite, si colloca +28% rispetto alla media Ue, Valle D’Aosta e provincia di Trento, entrambe con 35.600 euro (a +22%), seguono l’Emilia-Romagna con 35.300, il Veneto con 32.300 e il Lazio con 32.100. Le Regioni meridionali sono molto lontane da questi livelli: Calabria (17.100 euro), Sicilia (17.500) e Puglia (18.100), hanno pil pro capite più bassi del 35-40% rispetto alla media dell’Ue.
Questi sono dati che rivelano che il Sud si allontana sempre di più dal nucleo forte dell’Europa, assumendo le caratteristiche di un’area periferica e marginale (la regione più povera in Europa è Severozapaden in Bulgaria, con 8.600 euro pro capite). Le Regioni settentrionali vogliono utilizzare le loro risorse per accelerare il fenomeno di convergenza verso il nucleo, gestendo direttamente le materie strategiche del lavoro, istruzione, salute e tutela dell’ambiente. Il vero nodo celato dietro le schermaglie del dibattito politico è la fine della solidarietà nazionale che appare sempre più come un dato condiviso nell’opinione pubblica. Una comunità nazionale può definire le sue strutture statali in forma federale, ma non negare o sminuire il principio di unità nazionale. Il caso della Germania, Stato federale, è un esempio: in poco più di un decennio la Germania Occidentale ha trasferito ingenti risorse ai Lander dell’ex Repubblica Democratica, riducendo il divario e favorendo la sua integrazione con l’economia più avanzata dell’Ovest. In Italia, a più di cento anni di vita dello Stato unitario, il divario regionale, che non ha eguali in Europa, è rimasto negli stessi termini, nonostante lo sviluppo dell’economia nazionale. Ora, il processo di integrazione economica sovranazionale favorisce la regionalizzazione e rende più difficile l’azione dello Stato nazionale che risulta per molti aspetti limitata o inadeguata. Ciò che ha compiuto la Germania federale negli anni Novanta oggi sarebbe difficilmente riproducibile nel contesto dell’Unione europea. Che sia o meno sancito da un atto legislativo formale, il regionalismo differenziato in Italia è già operante sul terreno dell’economia reale e nella coscienza nazionale, e se c’è spazio per un nuovo meridionalismo, esso dovrà essere collocato in una prospettiva europea, come dimostra l’esperienza del Pnrr.
Rosario Patalano è economista
Bentornato,
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