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Solo Europa e Mediterraneo possono salvare i popoli da oligarchi e nuovi imperi

Gentile presidente von der Leyen, cari commissari europei, vi auguro di fare un gran lavoro e so che è nelle vostre possibilità, oltre che nelle intenzioni, di farlo. Il guaio è che l’Europa da voi rappresentata è immobilizzata. La fuga di molti governi nazionali alla corte dei sovrani imperiali che hanno tutta l’intenzione di volersi spartire il mondo la rende pressoché incapace di reagire. È un po’ come se comandante e ufficiali si sedessero al tavolo per segnare una rotta che non c’è più, perché il Titanic ha subito squarci profondi nella collisione con iceberg troppo grandi e adesso rischia di colare a picco rendendo inutile il vostro lavoro.

Ci vorrebbe una reazione forte e straordinaria della Commissione per tenere salda la barra della politica europea. Di tutta la Commissione, rivolgendosi direttamente, per il tramite di ciascun commissario, ai propri connazionali, e costringendo i rispettivi governi a restituire all’Europa il ruolo che le compete. Assumendo decisioni e iniziative non più rinviabili. Nello scacchiere geopolitico. Nell’affermazione della sua autorità quale soggetto indispensabile per gli equilibri planetari contro mire e aspirazioni dei tre imperi che intendono spartirsi il mondo.

Nella partita economica che va dalla difesa dei liberi scambi al controllo dello spazio satellitare per finire allo sviluppo ordinato delle nazioni, tutte le nazioni. Nella contrapposizione netta e decisa alle avidità di magnati e oligarchi che promettono di strozzare il mondo. È un terribile compito quello che la storia ha affidato all’Europa. Non adempiervi sarebbe drammatico. E non solo per gli europei.

Con la smaccata, proterva assunzione del dominio delle grandi potenze storiche da parte di magnati e oligarchi senza distinzione di regimi, ideologie e ambito geografico, si può affermare che è finalmente spirato il ventesimo secolo. Il secolo dei grandi drammi e delle grandi guerre, ma anche delle grandi promesse non mantenute. Con la vittoria delle democrazie sul nazifascismo il mondo si scoprì forte, bello e in grado di guardare con fiducia al futuro. Certo i vincitori imposero le loro regole a cominciare dalla supremazia del dollaro come moneta degli scambi internazionali. E tuttavia essi misero mano alla ricostruzione con lungimiranza e saggezza e tutti indicarono la pace come antidoto alla sopraffazione dei più forti contro i più deboli. Ci furono indubbiamente smarrimenti feroci. La crisi di Cuba e la guerra del Vietnam su tutti. Ma opinione pubblica, giovani e meno giovani vegliavano e imposero la loro volontà di pace ai governi. La stampa era davvero il quinto potere e la magistratura faceva il suo mestiere con buona pace dei governanti che talora dovettero abbandonare i loro scranni sotto la sferza della sua azione. Vi era violenza e negazione della libertà laddove il regime dei soviet aveva stravolto il principio della felicità e del benessere collettivo e delle persone oltre che dei popoli. Il capitalismo spesso deragliò anch’esso dalla dichiarata volontà di favorire lo sviluppo delle nazioni e dell’intero pianeta.

Ma vi era contestualmente una capacità di protesta e di ribellione capace di annullare quei tentativi sia pure con dispendio di energie e di tempo oltre che di vite umane e sofferenze. Ma il desiderio di vivere in pace, di vincere la fame e le guerre non sono mai venuti meno. Ed il mondo aveva trovato un suo equilibrio, un equilibrio mantenuto anche con la minaccia delle armi nucleari ma mai messo in discussione. Alla vigilia dell’ultimo decennio del ventesimo secolo sembrò addirittura che la profezia antica di un mondo attraversato da fiumi di latte e miele, libero da catene di ogni genere, si stesse avverando. Era novembre del 1989 quando il muro di Berlino crollò e con esso i muri di tutto il mondo. Di ogni tipo. In ogni dove. E nacque l’idea del villaggio globale. L’economia al servizio dello sviluppo per debellare ovunque fame e povertà. Il mondo sembrava pronto ad impazzire per la felicità. L’Europa divenne l’Eden. Da Est tutti correvano verso Bruxelles. La Cina la cercava come partner privilegiato e sponda per la sua crescita. Anche gli Usa si disposero ad una sorta di diarchia con essa e la Russia rivendicava la sua vocazione europea. E l’umanità sembrava non avere ostacoli né limiti alla sua felicità. Il libero scambio, l’abbattimento delle frontiere, l’azzeramento di dazi e balzelli, lo sviluppo economico, la tecnologia amica stavano ridisegnando il pianeta e l’Europa dettava tempi e ritmi della nuova stagione. L’euro si issava accanto al dollaro con soddisfazione generale di tutti i popoli e nazioni che vi intravedevano l’avvento di un tempo nuovo caratterizzato da un equilibrio fondato sulla pace e sullo sviluppo solidale che avrebbe affrancato definitivamente gli uomini da paure, sfruttamento e sopraffazione. Vi erano organismi internazionali ormai ben rodati. L’Onu godeva del giusto riconoscimento e agenzie mondiali per la tutela della salute, la cultura, l’istruzione, la lotta alla fame, l’agricoltura e l’ambiente presidiavano i campi più delicati della convivenza umana sempre più inquadrata in un’unica prospettiva planetaria. Anche la giustizia si era dotata di tribunali e norme internazionali. Non mancavano qua e là “bubboni” terribili e tuttavia vi era la fiducia di poterne estirpate la radice. Si aspettava il ventunesimo secolo per dare compimento alle promesse del secolo passato. Il nuovo millennio prometteva di essere quello buono. Quello finalmente senza guerre e senza dittature e senza fame e malattie e con un’umanità che si sarebbe scoperta ovunque solidale e compassionevole, rispettosa, al di là del colore della pelle, religione, ideologia, ricchezza e povertà.

Poi invece qualcosa si ruppe. Il ventunesimo secolo non solo non diede compimento alle speranze del secolo passato, ma sembrò prigioniero delle paure e delle derive che avevano portato quel secolo a oscillare pericolosamente sull’orlo del baratro della distruzione. La volontà di controllare il mondo e di impadronirsi delle sue ricchezze, rimasta incubata nei consigli di amministrazione della speculazione, era esplosa come una nuova metastasi che prometteva di ingoiare tutto. Spinte neocolonialiste e controllo delle fonti energetiche si sommavano allo strapotere finanziario che per decenni, in silenzio, aveva tessuto la sua tela con cui aveva avviluppato l’intero pianeta. L’indebitamento degli individui e degli stati, divenne la nuova frontiera costruita sulla deriva del consumismo cresciuto senza limiti e misura. La finanza globale aveva imposto il divorzio tra banche centrali e governi ed aveva creato un equilibrio instabile fondato su un indebitamento pubblico senza argini da essa alimentato e gestito. Gli Stati avevano rotto il nesso tra inflazione e salari, stipendi e pensioni, con conseguente impoverimento della gente. Avevano sposato l’idea della privatizzazione delle loro stesse funzioni che sottratte ai poteri pubblici furono affidate ai nuovi potentati privati. La finanza e la speculazione controllava ormai il futuro del mondo. E come per incanto tornarono muri, guerre, dazi e imperi, mentre l’umanità si riscoprì nuovamente vittima di equilibri che miravano a controllare risorse energetiche e materie prime, comprese le terre rare che servono ad alimentare le nuove tecnologie e che invece di liberare l’uomo lo stanno spingendo in un baratro senza speranza. Così, con il mondo ripiombato nel tunnel di paura, povertà e violenza, è finalmente finito il ventesimo secolo. Sono venute meno i suoi alibi, incertezze e ambiguità.

Con l’avvento dei magnati e oligarchi iper capitalisti, espressione dello strapotere privato negli Stati Uniti, del potere economico statale in Cina, del potere militare nella Russia, è finito l’equivoco del ventesimo secolo ed ha avuto inizio, con le sue terribili verità, il ventunesimo. I nuovi governanti-magnati-oligarchi, che da soli posseggono gran parte delle ricchezze del mondo, hanno gettato la maschera e dichiarato i loro obiettivi. La libertà del popolo ucraino è un falso obiettivo, un alibi per controllare le terre rare di quella nazione destinata ad essere usata come merce di scambio con il rinato impero Russo. La guerra Isaraele-Hamas è un espediente per ridisegnare il Medio Oriente e deportare i palestinesi in attesa di trasformare Gaza in un paradiso turistico. L’impero cinese farà i conti con Taiwan e finalmente si impossesserà del Mar Cinese Meridionale.

Ed il Mediterraneo? Resta prigioniero degli interessi dei tre imperi e dell’inconcepibile assenza europea. È sul Mediterraneo che l’Europa si giocherà il suo futuro. Potrà continuare a disinteressarsi, sancendo la sua fine e alimentando una pericolosa diaspora dei suoi Paesi, elemosinando prebende per chi comanda e lasciando guai per tutti gli altri, oppure potrà riaffermare la sua appartenenza quale parte integrante del Mediterraneo, sua naturale proiezione, e giocarsi così la partita di un nuovo equilibrio mondiale. Solo in un nuovo equilibrio mondiale in cui il Mediterraneo sarà continente insostituibile e non mare di passaggio abbandonato alle mire dei potenti e alle violenze impunite dei trafficanti di uomini, l’Europa potrà affermare il suo ruolo di sponda e garante di un’umanità che creda ancora nel futuro di un mondo libero, arginando la protervia degli imperi e dei loro magnati-oligarchi intenti a “requisire” per intero le ricchezze del pianeta lasciando ai popoli le briciole di un’assistenza finalizzata alla mera sopravvivenza. Come nei tempi più bui del Medioevo e come coraggiosamente affermato dal presidente Mattarella.

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