Servono interventi profondi: investimenti seri, una programmazione sul medio-lungo periodo, la valorizzazione del personale sanitario e una visione che metta davvero al centro la salute come bene comune. La propaganda non basta più, e il tempo delle “pezze” è scaduto.
Milioni di italiani che rinunciano alle cure perché non possono permettersi di rivolgersi al privato, un perenne stato di malessere del personale sanitario, sono segnali inequivocabili che qualcosa non funziona. Una delle emergenze più serie con cui il Servizio sanitario nazionale è alle prese riguarda la carenza di personale sanitario: soprattutto di medici, infermieri, operatori socio-sanitari e tecnici di laboratorio, ma anche di psicologi, fisioterapisti, ostetriche e personale di supporto in genere (amministrativi, tecnici informatici, ecc.).
Proteggere e valorizzare le risorsa umane è una priorità assoluta. La carenza di personale, oltre alle difficoltà a rispondere adeguatamente agli aumentati bisogni di cura della popolazione, alimenta il malessere e la frustrazione tra gli operatori.
Altre problematiche contingenti riguardano la crescita delle diseguaglianze territoriali e della mobilità sanitaria verso il Nord. Le difficoltà spesso drammatiche di chi vive al Sud, specie nelle aree interne e montane, comprese le zone periferiche e insulari, sono aspetti che richiedono decisioni forti, investimenti stabili. Serve, soprattutto, un’opinione pubblica vigile, che chieda conto, che non si accontenti di promesse vuote. Serve un patto: istituzioni, professionisti, cittadini; un patto per costruire un sistema che curi ovunque e per tutti. In questi territori, in cui vive oltre il 20 per cento della popolazione italiana, la riduzione dei servizi si manifesta con maggiore intensità, aggravata da un altro fenomeno strutturale: l’invecchiamento della popolazione.
Non mancano, a tale proposito, nuovi modelli di assistenza e proposte, da parte di esperti del settore, su cui confrontarsi e lavorare: riforma del sistema di emergenza-urgenza, soprattutto per affrontare efficacemente le patologie tempo-dipendenti; valorizzazione del ruolo del medico di emergenza-urgenza, rendendo più attrattiva questa specializzazione, per superare la grave carenza di professionisti; assicurare, nelle situazioni caratterizzate da particolari difficoltà di collegamenti, il diritto a una diagnosi veloce, prevedendo ambulanze con professionisti specializzati e l’utilizzo delle risorse della telemedicina; l’adozione di un piano straordinario di investimenti per una rete pubblica di cardioprotezione (defibrillatori e piazzole per elisoccorso); formare la popolazione sul primo soccorso e sull’uso dei defibrillatori.
Occorre anche prevedere incentivi per il personale sanitario e dotazioni strumentali adeguate e personale ausiliario per gli ambulatori: la carenza di medici di famiglia, pediatri e ospedalieri si fa sentire in modo più acuto in questi territori. Si rende anche necessaria, a tale proposito, una revisione del Decreto Ministeriale n. 70/2015, il quale ha introdotto criteri piuttosto rigidi per la rete ospedaliera, penalizzando, di fatto, le aree montane e periferiche più disagiate. Dopo un decennio dalla sua entrata in vigore, è indispensabile valutare l’effettiva applicazione degli standard previsti nelle Regioni, e verificare se tali criteri rispondano effettivamente alle esigenze attuali delle popolazioni residenti.
La crisi della sanità non è una fatalità. È il risultato di anni di scelte sbagliate, di tagli lineari e di priorità distorte, di sottofinanziamento. Ora serve coraggio. La salute non è un favore, è un diritto; un diritto che se ignorato, prima o poi, si perde.
Bentornato,
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