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Siamo sulle montagne russe

Gli indicatori congiunturali mostrano curve che si impennano per poi precipitare e d’altra parte la situazione geopolitica, che quelle curve influenza sino a determinarne l’andamento, è ampiamente compromessa dalle scommesse della Russia, alle quali tuttavia si associano le spinte speculative dei protagonisti di un mercato drogato, interessati più ai propri profitti che alla stabilizzazione del quadro complessivo.

In mezzo c’è l’economia reale, quella fatta di beni da produrre e consumare, di domanda e di offerta, di occupazione, di imprese e famiglie. Davvero è una situazione al limite della paranoia se non della schizofrenia, quella nella quale ci troviamo a doverci districare. E monta l’unica certezza, sia sul fronte delle famiglie che su quello delle imprese, orientata al risparmio, al ritiro dei remi in barca, in attesa di capire cosa succederà di qui a breve ed anche più in là. Sul fronte della guerra, ma anche sul fronte della speculazione, sul fronte nazionale e su quello europeo. Insomma prevale l’incertezza e le attese per il prossimo futuro, crollano magari dopo essersi impennate per uno spiraglio di luce che non è divenuto giorno tuttavia!

L’indagine della Banca d’Italia sulle imprese più strutturate (con oltre 50 addetti) è eloquente al riguardo. La situazione economica volge al peggio nei prossimi mesi. Eravamo partiti con entusiasmanti, o comunque bene auguranti, effetti rimbalzi nelle previsioni post covid. L’Italia addirittura in fuga, a distanziare il resto della compagnia europea. Un bel respiro con tutto quel debito. Il governo scommetteva su un Pil che prometteva di crescere bene, anzi più che bene. E poi la generosità europea con il Next Generation Fund ed il Pnrr a risollevare il Paese ed il Sud, sempre dimenticato (anche in questo caso), davvero spingeva all’ottimismo con le curve della congiuntura tutte all’insù. Poi invece il meccanismo si è inceppato. Guerre, sanzioni, mercati paralleli, prezzi e speculazione ad inseguirsi, tutti all’insù come gli extra profitti. E le aspettative positive delle imprese si sono fermate, anzi sono cadute giù e la propensione ai consumi idem.

L’inflazione torna a galoppare con ritmi mai visti dagli anni ottanta! Il prezzo della benzina su e giù! Rialza, poi un accenno di ribasso e quindi un nuovo più robusto balzo in avanti. Ma per fortuna che c’è il super ecobonus che, pure quello, galoppa ma che, ahimè, droga il mercato e fa schizzate i prezzi. I grandi player nazionali (Eni in testa) ed internazionali incassano miliardi di superprofitti grazie alle assurde valutazioni del gas ad Amsterdam. E tutto congiura a far salire l’inflazione. Poi c’è lo spread che fa paura, mentre Cristine Lagarde con la sua Bce spinge anche gli interessi sui mutui dei privati. In tutto questo baillame vi sono i debiti delle imprese e le bollette da paura di oggi e di domani.

Siamo nel cuore di una tempesta perfetta. Ed il bello è che l’Italia non ha alcun ombrello. Non abbiamo quello energetico per le scelte sciagurate antiche e recenti, non abbiamo l’ombrello della presenza pubblica in economia, dopo le frettolose e, anche quelle, sciagurate privatizzazioni che ci impediscono perfino di incassare i maxi dividendi speculativi di Eni. Adesso tarda (e speriamo non venga meno) anche l’ombrello europeo sul tetto al prezzo del gas. E tutto questo, certo, per la maledetta voglia di dominio di un presidente russo che non vuole saperne di andarsene, ma anche, e direi soprattutto, per le miopi scelte del paese su tutti, ma proprio tutti, i fronti. Chiedete ad uno studente alle prime armi se è opportuno legarsi mani e piedi ad un solo fornitore o cliente. La Francia sta meglio e la Germania pensa a salvarsi con i surplus accumulati in anni di spread negativo per non parlare dell’Olanda divenuta il sogno proibito di tutti gli aspiranti speculatori oltre che di quanti sono esperti a giocarsi il fisco di casa! L’Italia lotta disperatamente con le bollette, l’inflazione, l’incubo disoccupazione (a fronte di un’occupazione che, per quanto precaria, al momento tiene, ma il futuro è preoccupante), la povertà, il destino del nord oltre che quello del Sud. I governi sin qui han pensato di alleviare il peso con aiuti (sempre insufficienti) ad imprese e famiglie, mentre l’inflazione impoverisce tutta la nazione trascinando verso il basso anche quel che resta del ceto medio.

Ed il Sud? La retorica delle eccellenze aiuta a nascondere il degrado. Ma i giovani che se ne vanno in centomila all’anno e tutti gli altri indicatori non mentono. Il Pnrr nato per riequilibrare le due Italie, va per conto suo, ossia verso Nord. D’altronde se il Sud non sa progettare, dicono al Nord, è colpa sua, dimenticando che il Sud non ha nemmeno le risorse per progettare. Da troppi decenni, tutto è dirottato al virtuoso Nord che ora attende in premio la cosiddetta autonomia differenziata. E, come un coniglio dal cappello del prestidigitatore, salta fuori l’idea del Sud hub energetico addirittura per l’Europa. Pale eoliche e specchi dappertutto. E tutti felici e contenti! Peccato che quella scelta chiude ogni prospettiva di creare una locomotiva produttiva a Sud. Ogni orizzonte di piattaforma logistica nel Mediterraneo. Ogni ambizione di dieta mediterranea patrimonio mondiale dell’umanità. Peccato che metta una pietra tombale sulle ambizioni tecnologiche del Sud (la vicenda Intel con un investimento di otto miliardi e 4000 mila tecnici dirottato dal sud al Veneto è emblematico). Allora? Bisogna affidarsi ancora una volta allo stellone italico? Alla auspicata fine della guerra che rimetta a posto i pezzi impazziti del puzzle? O forse è il caso di tornare ad una visione di uno stato più responsabile dei destini dei suoi cittadini, mettendo mano ad una seria politica energetica che faccia giustizia dei no a prescindere, recuperando il controllo totale dei player strategici nella produzione industriale e nei servizi (tutti i servizi, dalla telefonia, all’energia, al gas, compresi quelli assicurativi e bancari). Insomma un ritorno a Keynes e, per quanto ci riguarda, alla dottrina di Federico Caffè per il quale valeva la felicità del popolo e della nazione contro la fortuna di pochi speculatori. Intanto che le imprese ed i cittadini torneranno a risparmiare e ad inventarsi nuove strade per andare avanti!

Antonio Corvino è direttore generale Osservatorio Banche e Imprese

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