Si valuti ora l’impatto sanitario

Non se ne parla in queste ore, ma la prima cosa che il Governo dovrebbe fare per determinare quale futuro potrà avere il siderurgico di Taranto è produrre e rendere nota la valutazione preventiva dell’impatto sanitario atteso post adempimenti dell’Aia scaduta il 23 agosto.

Il tutto per stabilire su solide basi scientifiche se e quanto è possibile produrre utilizzando gli attuali impianti, senza che ciò comporti rischi inaccettabili per la salute dei cittadini e dei lavoratori. È questa la premessa obbligata per qualunque ragionamento sul futuro dello stabilimento ed è anche la più urgente alla luce dei danni alla salute e dei morti provocati sinora dall’inquinamento prodotto dall’ex Ilva, attestato da innumerevoli studi: c’è bisogno, qui ed ora, di fissare la capacità produttiva massima al di sotto della soglia che la Valutazione dell’Impatto Sanitario indicherà, in modo da garantire che nessuna vita in futuro sia più sacrificata sull’altare delle esigenze produttive.

La seconda cosa che il Governo dovrebbe fare è imboccare con decisione e rapidità la strada della decarbonizzazione, già intrapresa nel resto d’Europa e del mondo, ma di cui non c’è traccia nella richiesta di nuova Aia prodotta da Acciaierie d’Italia. Il Governo dia gli indirizzi per un piano industriale basato sul passaggio nei tempi più rapidi possibili ai forni elettrici ed all’uso del preridotto, orientando a tale scopo sia le risorse pubbliche, nazionali ed europee, necessarie che quelle del/dei partner privati che si vogliono coinvolgere. Progettare il rifacimento dell’Altoforno n. 5 significherebbe continuare ad investire su tecnologie vecchie, obsolete, altamente inquinanti e climalteranti, che sono del tutto prive di futuro.

Si tratta invece di abbandonare il carbone e costruire gli impianti che, utilizzando il metano quale agente riducente, già oggi abbattono sia le emissioni inquinanti che quelle della CO2 responsabile dei catastrofici cambiamenti climatici in atto e che sono “h2 ready”, pronti cioè alla rivoluzione dell’idrogeno, cioè all’avvento di una tecnologia pulita, capace di rendere davvero green la produzione di acciaio.

Non si tratta di sogni, ma di prossime realtà: in Svezia, con il progetto Hybrit, il gruppo siderurgico Ssab prevede di portare già dal 2026 a 1,3 milioni di tonnellate utilizzando idrogeno l’attuale produzione di Dri, il semilavorato che dà vita all’acciaio dopo il passaggio nei forni elettrici: occorre che anche Taranto si avvii su questa strada. La terza cosa da fare è definire con chiarezza l’assetto societario coinvolgendo accanto al soggetto pubblico partner privati che accettino di investire, oltre che nella indispensabile ed improcrastinabile manutenzione degli impianti, nell’innovazione di processo e di prodotto e nella decarbonizzazione: le prove date in questi cinque lunghi anni da Arcelor Mittal non sembrano andare in questa direzione, né sinora dagli angloindiani è venuta una proposta di piano industriale da cui si comprenda la loro strategia per il futuro dello stabilimento.

La quarta cosa da fare è confrontarsi con le forze sociali e con gli Enti locali e definire insieme un Accordo di programma per governare la transizione, in tempi certi e ragionevoli, dall’attuale produzione di acciaio basata sul ciclo del carbone ad un futuro centrato sull’utilizzo in siderurgia dell’idrogeno verde. E’ ipotizzabile la creazione in loco di una filiera dell’idrogeno sia per la fase di costruzione che per quella di gestione, che andrà accompagnata dall’erogazione di adeguati corsi di formazione, anche attraverso l’utilizzo del Just Transition Fund. Un futuro più green che deve comprendere la bonifica dei suoli contaminati e del Mar Piccolo di Taranto, possibili volani di una diversificazione produttiva capace di creare nuove occasioni di lavoro stabile contribuendo a cancellare il ricatto occupazionale rappresentato dalla monocultura dell’acciaio. Anche delle bonifiche si parla poco in queste ore, ma anch’esse costituiscono non solo una necessità, ma un diritto della comunità jonica che -nonostante anni di Commissariamenti- non ha ancora ottenuto le risposte che attende.

L’ultima, ma non meno importante cosa da fare, è che il Governo riprenda in mano il tema delle bonifiche, a partire da quella del Mar Piccolo, sia per dare un input preciso sull’utilizzo immediato dei fondi disponibili sia per cominciare a ragionare sul reperimento delle ulteriori risorse necessarie.

Lunetta Franco – Presidente Legambiente Taranto

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