Ah, la vita moderna! Ci ritroviamo a scrutare ogni minimo dettaglio delle nostre esistenze come se fossimo dei detective alla ricerca del colpevole della nostra infelicità. Ma forse, e dico forse, stiamo esagerando un pochino? C’è una scena che mi torna spesso in mente: io, dopo una giornata storta, che entro in un negozio con l’unico obiettivo di comprarmi qualcosa – qualsiasi cosa – per tirarmi su. La commessa mi sorride, io prendo un maglione che non mi serve davvero, ma che sembra promettere un po’ di pace mentale. E per un attimo, funziona. Mi sento meglio, più leggera. Poi, tornando a casa, guardo il maglione e mi chiedo: era davvero questo quello che mi serviva?
Eccoci qui, a dissezionare ogni nostro gesto quotidiano come se fosse un’opera d’arte contemporanea. Compriamo un maglione? Dev’essere per colmare un vuoto esistenziale. Ci scappa una parolaccia? Sicuramente è un meccanismo di difesa psicologico. Ma non sarà che a volte un maglione è solo un maglione e una parolaccia è solo… beh, una parolaccia? Certo, lo shopping può essere terapeutico. Lo dice la scienza, quindi dev’essere vero, no? Uno studio pubblicato sul Journal of Consumer Psychology ha dimostrato che comprare qualcosa – anche se piccolo – può davvero migliorare l’umore. Ma attenzione: passare dal “mi compro un gelato perché ho avuto una giornata pesante” al “ho appena ipotecato casa per una borsa firmata perché mi sentivo giù” è un attimo. E poi, diciamocelo, l’unica cosa che si sgonfia davvero dopo una sessione di shopping sfrenato è la carta di credito.
E che dire delle parolacce? Apparentemente, imprecare ci renderebbe più resistenti al dolore. Uno studio della Keele University pubblicato su NeuroReport ha dimostrato che le parolacce possono aumentare la tolleranza al dolore fisico del 30%. Fantastico! Finalmente una scusa per trasformare ogni conversazione in un monologo da scaricatore di porto. Immaginate la scena: vi schiacciate un dito e invece di urlare come persone normali, vi lanciate in un’elaborata dissertazione di parolacce degna di un premio Nobel per la creatività linguistica.
Ma fermiamoci un attimo. Davvero abbiamo bisogno di analizzare ogni nostro respiro? Forse, e dico forse, stiamo perdendo di vista il quadro generale. Viviamo in un’epoca in cui tutto dev’essere “mindful”. Mangiare mindful, respirare mindful, persino andare in bagno mindful. Ma non sarà che a forza di essere così consapevoli stiamo diventando inconsapevoli della vita stessa? Più cerchiamo la felicità, più ci sfugge. È come cercare di afferrare una saponetta bagnata: più ci proviamo, più ci scivola via. Forse la vera felicità sta proprio nel non cercarla ossessivamente.
Quindi, cosa possiamo imparare da tutto questo? Forse che è ora di prenderci un po’ meno sul serio, ma senza dimenticare il rispetto per gli altri e per noi stessi. Sì, lo shopping può farci sentire meglio momentaneamente. E sì, una bella parolaccia può essere liberatoria. Ma non trasformiamoli in una scienza esatta o in un’abitudine irresponsabile. Usare le parolacce per alleviare il dolore va bene, ma farlo in pubblico o dirigerle verso qualcuno è tutt’altra storia.
La vera domanda è: che direzione vogliamo dare alla nostra vita? Possiamo continuare a cercare soluzioni rapide, affidandoci a gesti che ci fanno sentire meglio per un attimo. Oppure possiamo fermarci, riflettere e chiederci cosa possiamo fare per trovare un benessere più duraturo con consapevolezza. La scelta sta a noi. Per quanto mi riguarda punto sullo shopping, qualcosa che da sempre mi crea appagamento e soddisfazione, per buona pace della carta di credito.