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Sessualità nelle scuole: strumento di salute pubblica

In Italia e nella stessa Puglia, parlare di educazione sessuale nelle scuole è sempre stato difficile. Appena si pronuncia la parola “sessuale” cala il sipario dell’attenzione istituzionale, tutto diventa un tabù e la falsa morale prende il sopravvento.

In certi fatti di cronaca, i tanti sbandierati casi di femminicidio, anche di adolescenti, hanno reso evidente quanto sia urgente colmare questa assenza educativa che produce un vuoto sia culturale che istituzionale. Migliaia di studenti e studentesse chiedono programmi scolastici in grado di poter sviluppare conoscenze educative verso comportamenti votati al rispetto e alla consapevolezza delle relazioni.

L’Italia è uno dei pochi paesi in Europa a non avere i corsi di educazione sessuale e contraccettiva sicura nelle scuole. Da decenni le attività dipendono esclusivamente da iniziative dei singoli istituti scolastici, con forti disuguaglianze territoriali.

Secondo un sondaggio di Save the Children del 2024, meno della metà degli adolescenti italiani ha ricevuto una educazione sessuale a scuola. Sarebbe utile fare la stessa ricerca nei confronti dei genitori, che quasi per nulla affrontano questi discorsi dentro le mura casalinghe.

I dati, in questo caso, a mio parere sarebbero ancora più sconcertanti. C’è un chiaro interesse tra i giovani ad approfondire questi temi. Interesse inascoltato dalle istituzioni e dal mondo degli adulti.
La ricerca dell’Istituto Superiore di Sanità rileva che il 94% degli studenti pensa che la scuola debba interessarsi e affrontare in maniera semplice, ma professionale questi temi.

Molti chiedono non solo di iniziare ad affrontare i temi della sessualità nelle scuole medie, ma anche in quelle primarie con competente professionalità. Nel tempo, si sono succedute norme e linee guide sul tema presentate a livello parlamentare, ma mai attuate.

Dal 1975, a partire dalla legge quadro sui consultori familiari a oggi, sono state presentate almeno 15 proposte di legge per introdurre le materie formative ed educative sull’educazione sessuale nelle scuole: nessuna è stata mai approvata. Eppure, a partire dalla nostra Costituzione, dalla carta dei diritti fondamentali della U.E. o la stessa convenzione di Istanbul, indicano chiaramente che le Nazioni Europee devono legiferare, programmare, finanziare e quindi contrastare discriminazioni e violenze anche attraverso percorsi educativi e formativi. In Italia, nel 2015 e 2017, sono state pubblicate linee guida per educare al rispetto, ma nella sostanza si sono rivelate improduttive come insegnamento curriculare nelle scuole. Sul caso Cecchettin, il ministro dell’Istruzione Valditara ha presentato il piano “Educare alle relazioni”, 30 ore facoltative extra curriculare per le scuole superiori, con un finanziamento di 15 milioni di euro. Una foglia di fico istituzionale per calmierare il disagio che il caso aveva provocato nell’opinione pubblica. Un piccolo passo in avanti? Direi in parte di sì, ma insufficiente.

I soliti portatori della “forza morale“ hanno gridato al pericolo: “Insegnare sesso a scuola”? Ridicole affermazioni. Mentre il dramma del mondo dei nostri giovani diventa sempre più evidente. Educazione alla sessualità e all’amore è uno strumento di salute pubblica capace di prevenire violenze, gravidanze indesiderate, aborti clandestini. Insegnare la conoscenza del proprio corpo, Il rispetto delle emozioni, la ricerca della propria identità di genere, il valore del consenso, il principio sacrosanto di libertà di dire “sì” o “no”, passa attraverso la più alta cultura democratica della libera scelta consapevole. A mio parere l’educazione alla sessualità e all’affettività deve essere iniziata sin dalla prima infanzia. Bisogna insegnare ai bambini e alle bambine come riconoscere i propri confini e rispettarli, dare un nome alle emozioni e imparare che i comportamenti se sono desiderati devono essere modulati e rivisitati.

Abbiamo necessità di costruire una generazione capace di vivere relazioni sane, dove il senso di libertà di espressione corporea, culturale, religiosa e non, si manifesti. Ridurre al minimo l’autoreferenzialità e narcisismo, modulare l’emozione della gelosia e la violenza: su questo dobbiamo lavorare. In un paese come il nostro dove i dati del Ministero degli Interni registrano aumenti dei casi di femminicidio e di violenza non si può permettere di rinviare ancora, dopo decenni, l’introduzione dell’educazione alla sessualità nelle scuole e non farla diventare materia fondamentale curriculare.

Non fare questo significa voler ignorare una delle principali strade di prevenzione e di tutela della salute pubblica. Parlare di sessualità, di sentimenti, di innamoramento, significa anche parlare di rispetto del corpo e della persona, di diritti, di cittadinanza attiva e multietnica anche attraverso il rispetto delle religioni. Non possiamo permetterci in Italia di rimandare ancora questo investimento sul futuro della nostra popolazione.

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