Servono scelte chiare e riforme coraggiose: il Paese non può più aspettare

Una riflessione, questa, ispirata dall’ottimismo della volontà, in attesa dei risultati definitivi dai quali ci si augura possa uscire una maggioranza parlamentare solida, coesa, in grado di sostenere un governo stabile e capace di affrontare il complesso capitolo delle riforme. Riforme strutturali, costituzionali e dei Trattati dell’Unione, nonché quella elettorale. Anche le misure, urgentissime e immediate, indispensabili per fronteggiare le emergenze della crisi energetica, dell’inflazione, della incombente recessione, del carovita e della sopravvivenza delle famiglie e delle imprese, non potranno prescindere dallo scenario di queste riforme di cui il nostro Paese ha vitale bisogno.

La politica estera e il Pnrr

Chiunque sarà chiamato a governare, nonostante tutti i distinguo della vigilia, i putinismi di ritorno, allusi o dichiarati, i pacifismi vetero-ideologici, gli antiamericanismi di piazza, nonché le stupefacenti elucubrazioni senili pro-Mosca, non potrà mettere in discussione la nostra convinta appartenenza al mondo occidentale, all’Alleanza atlantica, all’Unione europea e, di conseguenza, il sostegno alla guerra di liberazione ucraina dall’invasione russa. Anche un minimo sbandamento sul tema – che include la scelta di ministri di garanzia occidentale ed europeista, nei cinque dicasteri-chiave (Affari esteri, Interno, Economia, Difesa e Rapporti europei) – porterebbe, nel giro di pochi mesi, se non di settimane, alla caduta rovinosa del nuovo esecutivo. Lo stesso esito letale provocherebbe la mancata o ritardata attuazione del Pnrr, determinando una rottura insanabile con le istituzioni europee, con la conseguente perdita delle ingenti risorse finanziarie programmate, il prevedibile terremoto sui mercati finanziari e le dimissioni del neonato governo. Eventuali aggiornamenti di cifre sui progetti, non del tutto definiti, gestiti con accortezza diplomatica dal nuovo esecutivo, nel rispetto sostanziale degli accordi già sottoscritti, purché concordati con l’Unione, non potrebbero essere esclusi, se non provocassero inadempienze, allarmi e danni.

Le riforme strutturali

Unimpresa ha tenuto, nel settembre del 2020, un interessante convegno sulle riforme strutturali necessarie ad ammodernare il Paese. Tutti hanno riconosciuto che le riforme strutturali fossero (e sono!) connesse direttamente all’attuazione del Pnrr. E tutti sappiamo che le riforme non si realizzano con l’approvazione parlamentare di provvedimenti di legge o di deleghe al governo.

Ebbene, le riforme strutturali, anche quelle approvate, sono rimaste in mezzo al guado! Alcune impantanate nelle sabbie mobili della burocrazia. Il futuro premier dovrà dare risposte puntuali sul destino di queste riforme, nonché sugli aggiornamenti e sulla tempistica, in primis su quella del fisco, strettamente collegata alla ripresa economica e all’impiego delle risorse del Pnrr.

Le riforme costituzionali

Sulle riforme costituzionali, Unimpresa ha espresso un giudizio favorevole, partendo dalla premessa che le modifiche non riguardino i princìpi della Carta, intangibili, ma soltanto la seconda parte, intesa a rafforzare il ruolo dell’esecutivo e del primo ministro, nei suoi rapporti con il parlamento e con gli altri organi costituzionali. Continuando a urlare che abbiamo la Costituzione “più bella del mondo”, per cui essa dovrebbe restare immodificabile, per l’eternità, nei secoli dei secoli, significa non prendere atto della debolezza, della precarietà e della intempestività dell’attività di governo, in un mondo che corre velocemente e non aspetta i nostri colpevoli ritardi. Negli ultimi decenni e, in particolare, nell’ultimo biennio, i governi hanno fatto un massiccio ricorso, per sopperire, talvolta impropriamente e abusandone, ai decreti-legge, mortificando il ruolo del Parlamento. Parlare di modifiche della Costituzione significa attentare alle libertà e aspirare a una dittatura? Dobbiamo forse continuare così? Possiamo mummificare la Carta? Infantilismi ideologici che salvaguardano rendite di posizione e grumi di potere ingiustificati, stratificati nel tempo, a spese della collettività. Il nuovo premier, quindi, chiarisca i progetti di riforma costituzionale, le modalità, i tempi e i modi per coinvolgere tutte le forze politiche rappresentate. Se i padri costituenti hanno previsto una procedura ad hoc, perché mai questa isteria antiriformatrice?

Le riforme dei trattati

Un nostro esecutivo, più forte e più stabile, avrebbe più forza e maggiore determinazione, nel Consiglio europeo e nelle altre sedi istituzionali, a proporre e a sostenere quelle riforme essenziali dei trattati per un corretto, tempestivo e incisivo funzionamento dell’Unione. L’inadeguatezza delle procedure, legate ancora al diritto di veto, ha condizionato le decisioni e le proposte, in un tempo di tensioni internazionali drammatiche, nelle quali l’Europa è stata ed è direttamente coinvolta. Le vicende legate alla crisi energetica e al sostegno all’Ucraina hanno dimostrato come lo spettacolo dell’impotenza dell’Unione, nel quadro geopolitico mondiale in movimento, con le minacce nucleari della Russia, le divisioni tra i Paesi membri e gli opposti interessi, potrebbero, nel prossimo futuro, minacciare la stessa esistenza dell’Unione politica, economica e monetaria! Il nuovo premier dovrebbe esprimersi con chiarezza, non per indebolire l’Unione, attaccandola gratuitamente, ma per rafforzarla, specie nella politica estera, economica e di difesa comune. Essere europeisti non significa idolatrare lo status quo, ignorando la realtà, ma guardare al futuro, tenendo ben fermi i princìpi che ci legano al destino comune del nostro continente.

La riforma elettorale

Nessuna parte politica, nel corso della disgraziata legislatura 2018/2022, ha difeso il cosiddetto “Rosatellum”, neppure chi lo propose e chi lo approvò. Nessuna parte politica, tuttavia, ha fatto un solo passo avanti per riformare la legge elettorale, neppure quando lo scriteriato taglio dei parlamentari la imponeva, per una logica elementare di adeguamento. Per una ragione semplice: le riforme elettorali serie si fanno all’inizio delle legislature, non alla fine, in quanto, nell’approssimarsi delle elezioni, prevale il calcolo elettoralistico più conveniente all’appuntamento, in tal modo i leader politici si scambiano disinvoltamente la casacca maggioritaria con quella proporzionale e viceversa. Così è rimasta in vigore la casacca arlecchino del “Rosatellum”! Non esiste una legge elettorale perfetta, ma solo quella che può garantire la massima rappresentanza possibile con l’esigenza di stabilità delle maggioranze e dei governi. A meno che non si opti per l’elezione diretta del premier, come nel caso dell’elezione dei sindaci e dei presidenti delle Regioni. Il nuovo premier farebbe bene a non tralasciare di indicare le linee-guida di una riforma elettorale, da approvare nella prima parte della legislatura, in armonia con le riforme costituzionali.

Raffaele Lauro è segretario di Unimpresa, già prefetto e senatore

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