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Sedotta dai social la classe politica ormai va solo a caccia di “mi piace”

Il più grande tranello nel quale i social media sin dal primo giorno ci hanno fatto cadere è pensare che con un semplice e banale post tutti noi possiamo essere o diventare Elon Musk o qualsiasi altra celebrità che dispensa pensieri, parole e reel a una folla acclamante di follower.

Non importa se viviamo a Bari o Palermo, se abbiamo casa a Los Angeles o se postiamo una foto mentre siamo in gita a Londra, perché grazie alla ragnatela dei social media un nostro selfie può arrivare in pochi secondi sullo smartphone di un Lars qualunque che sta Oslo, di un Hector che lavora a Buenos Aires o di un Petrus qualsiasi che abita a Città del Capo.

Questa è la più grande opportunità che la rete ci offre, ma al tempo stesso, è la trappola percettiva più subdola che ci tiene legati alle piattaforme, che ci spinge compulsivamente a farle crescere: tutti noi invece siamo schiavi di una meccanica digitale che ci illude con un sogno di gloria e intanto ci chiede di vogare come schiavi in un galeone che non toccherà mai terra. Sono sufficienti pochi like al post e di colpo ci sentiamo tutti famosi, popolari e celebri, siamo convinti di poter parlare al mondo intero, mentre al più riusciamo a farci ridere dietro dal quartiere e dal vicolo. I politici, poi, senza eccezione alcuna, dal consigliere comunale al parlamentare, sono i più esposti di questa illusione. Si convincono molto spesso di postare per parlare al mondo, di essere seguiti e visti da un universo vasto e infinito e così partendo da questa certezza totalmente errata ci mostrano frequentemente il loro lato peggiore. La ricerca di un’audience digitale sempre più vasta, li porta a pensare che come un Donald Trump o un Javier Milei è sufficiente pubblicare o condividere qualsiasi cosa per catturare l’attenzione in pochi minuti l’attenzione di tutto il mondo. È questo l’inganno seduttivo che ci ha reso peggiori, che ha livellato verso il basso la nostra natura di essere sociali.

I social media hanno modificato nel profondo il nostro modo di vivere il rapporto con gli altri, le cui identità sono state semplificate e uniformate in due sole macro categorie, quella degli amici e quella dei follower. L’algoritmo, per continuare in questa semplificazione descrittiva delle conseguenze, ha trasformato anche il modo in cui scegliamo di raccontarci in rete e sui feed, ha azzerato qualsiasi premura e pudore, svuotando di senso ciò che un tempo avremmo tenuto riservato e privato e che, al contrario, adesso ci beiamo di lasciarlo alla mercè di pubblici che non conosciamo e che possono utilizzarlo a loro piacimento.

Pur di inseguire il piacere seducente di una condivisione immediata e senza filtri di ogni dettaglio delle nostre vite abbiamo scelto di abbandonare tutte quelle precauzioni di buon senso che ci hanno accompagnato per secoli e decenni.

I social media, con il nostro consenso e con la nostra approvazione, anche felice, ci hanno obbligati ad adottare linguaggi, forme e modi che in altre circostanze non avremmo mai considerato, pur di essere ascoltati, di vederci legittimati dal like di un estraneo. È questa la seduzione, per quasi tutti irresistibile, che diventa catastrofica e dalla quale prima o poi bisognerà liberarsi.

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