Qualche anno fa papa Francesco ha parlato dei tre peccati più comuni in cui può cadere la stampa: «La disinformazione – dire la metà e non dire l’altra metà –; la calunnia – quando non c’è professionalità, si sporca l’altro con verità o senza verità –; la diffamazione – dire cose che tolgono la fama di una persona, cose che in questo momento non fanno male. Questi sono i tre difetti che attentano alla professionalità della stampa».
E io questo suo pensiero me lo sono scritto e l’ho fissato con un post-it sul mio computer, per rileggerlo ogni giorno e non dimenticare mai il senso di responsabilità che chi fa il giornalista deve avere verso la comunità.
Nel leggerlo ieri, dopo aver notato che Repubblica Bari aveva tenuto in evidenza per ben otto ore una notizia in cui campeggiava la parola “guerra” riferendosi alla questione delle mense scolastiche cittadine, mi sono detta che quell’“errare humanum est” di cui parlava il papa, continua a ripetersi. E da molti danni. Perché non c’è nessuna “guerra” a Bari e le parole giuste sono essenziali per dare la visione corretta di quello di cui parliamo. Perché i fatti veri sono quelli che riguardano la questione che a 24 ore da quando è stata sollevata, si è risolta in pieno accordo tra l’assessora competente Paola Romano, la ditta appaltatrice, la Ladisa Ristorazione, i genitori preposti al controllo e l’Asl designata ad accettare le variazioni proposte.
Lo abbiamo scritto. Ma questa, evidentemente, è una narrazione che non paga poiché, a raccontare le notizie “in pace”, oltre al danno raccogli la beffa. Proprio così. Per rispettare il basso profilo richiesto dai nostri editori abbiamo volontariamente evitato la “rissa” mediatica e ci siamo orientati sugli “spiegoni” con tanto di “carte” e “chiarimenti”.
Ma niente. E allora, in silenzio non si può più stare. Secondo gli attuali canoni dell’informazione da dare in pasto agli odiatori, l’opzione del tutti contro uno è quella che più s’ispira alla vecchia regola del sesso, soldi e sangue e porta pure molti clic sui social. Personalmente, la giudico con sdegno. Allo stesso tempo credo che l’unica risposta da dare a chi rimescola frammenti di fatti in ordine sparso per distorcere la verità, o mischia foto vere con immagini fake (quella della mela, per esempio), sia quella della Procura della Repubblica.
Non vi è alternativa. Per tutto il resto, in particolare per la politica che strumentalizza genitori e bambini, non posso che chiosare citando due miti italiani: «Non ci resta che piangere».