Riguardo alla proposta sul presidenzialismo, i cui confini non sono del tutto chiari (spero solo si tratti di una proposta per l’elezione diretta del Capo dello Stato, e non del presidente del consiglio, che sarebbe un obbrobrio: non esiste in nessun paese al mondo) dico solo che stante la situazione politica e culturale italiana, una cosa del genere ci avvicinerebbe a Budapest o ad Ankara e non a Parigi o Washington, come magari pensano alcuni. E questo a prescindere dalla contrarietà per ragioni politiche e culturali. Alcuni, anche a sinistra sostengono che non ci si possa opporre in maniera ideologica alla proposta Calderoli, a quella “schifezza” che io chiamo oscena secessione dei ricchi, come acutamente l’ha definita l’amico e autorevole collega Viesti.
A mio modesto avviso, quando si affrontano temi così cruciali, non è mai corretto partire da posizioni… di parziale disponibilità e (presunta!) “responsabilità”. Come diceva Keynes, se si stima di arrivare ad un compromesso, è prudente, capite, prudente, partire da posizioni estreme.
Altro punto: i Lep. A parte la considerazione, che può apparire esclusivamente lessicale, ma invece è sostanziale, molto più corretto usare il termine uniforme, e non quello di “essenziale”. Una volta stabiliti questi livelli… che si fa? Qualunque proposta dovrebbe contemplare un “con finanziamenti adeguati a raggiungere, in tutti i territori, in tutte i Comuni, in tutte le Regioni, questi livelli di quantità e qualità”. Di questo nessuno ne parla, anzi, quasi sempre si precisa “senza ulteriori oneri a carico dello Stato”. Qualcuno ci spiega come si fa?
Terzo punto: la legge quadro. È una legge ordinaria, che in nessun caso, qualsiasi cosa stabilisse, può risultare “sovraordinata” a norme costituzionali, quelle che prevedono, senza specificazioni, l’attuazione di devoluzione e autonomia… E ancora: le “regole uguali per tutti” che tutti dicono di perseguire (e ci mancherebbe!) non devono precludere interventi significativi del Parlamento, come al contrario stabilisce la bozza Calderoli, che prevede che gli accordi per passaggio di gestione e potestà su ben 23 materie (tra cui istruzione, energia, infrastrutture, ambiente, ecc…) siano regolati da intese tra governo e regione richiedente, con la possibilità di un parere non vincolante di una commissione del Parlamento, ed un definitivo prendere o lasciare finale da parte del Parlamento stesso, che non può apportare modifiche al testo. Su questo hanno già detto, tanto e bene…. La proposta di legge di riforma costituzionale di iniziativa popolare avanzata da Massimo Villone e altri va sostenuta, ufficialmente, e nazionalmente, in maniera chiara spettacolare, come dire, da tutte le forze politiche di progresso.
Quarto punto: le risorse. Il “non vogliamo un euro in più” è la quintessenza dell’ambiguità e della visione “nordista”, cioè il mantenimento della spesa storica, così come avviene tutt’ora. Se, solo per fare un esempio, in questi anni a Reggio Emilia sono stati concessi finanziamenti per asili nido per 9 milioni di euro l’anno (e a Reggio Calabria, un po’ più grande di Reggio Emilia, solo 90 mila euro), si continuerà così. Ancora, una cosa, che sembra di buon senso “politico” ed amministrativo: molti, anche da sinistra, ritengono che con l’autonomia differenziata si potrebbe/dovrebbe garantire risorse finanziare per interventi vari, rispettando una programmazione, ad esempio quinquennale. Sembra “corretto”, vero? Supponiamo che ciò avvenga, e che alla regione pinco venga “garantito” un preciso flusso di finanziamenti, nei 5 anni di legislatura, per interventi per edifici scolastici, controllo e sicurezza idrogeologica del territorio, interventi su strade e quant’altro. Bene. Nell’anno “x” le entrate statali per un qualsivoglia motivo sono inferiori alle attese: mentre la regione pinco, forte dell’accordo che le garantisce somme certe, non perderà neanche 1 euro, tutti gli altri territori vedranno decurtarsi in maniera significativa i trasferimenti ed i finanziamenti… con tanti saluti all’uguaglianza tra cittadini. Solo quattro punti, ma… bastano per far capire quanto distanti, quelli che li sostengono, siano dalle ragioni di coesione e solidarietà territoriale e nazionale, che invece, ma solo a parole, non si peritano di sbandierare ai quattro venti in tutte le occasioni. Per concludere: le forze progressiste e democratiche, di sinistra sono in grado di garantire l’impegno necessario affinché sia rispedita al mittente questa oscena richiesta di secessione dei ricchi? Sono sufficienti a far comprendere finalmente a tutte queste forze la strada che bisogna perseguire? Che è non è quella di fermare Napoli per far correre Milano, come qualcuno ha pure affermato, ma esattamente, al contrario, è quella che solo se Napoli corre corre Milano e l’Italia.
Giuliano Laccetti è docente di informatica all’Università Federico II di Napoli