Un tempo c’erano Bartali e Coppi. E poi c’era la dama bianca. C’erano le cronache rose dipinte di tinte proibite e peccaminose, in un’Italia che non poteva immaginare una storia fuori dai vincoli del matrimonio.
Oggi c’è un manifesto con una ragazza in topless ritratta posteriormente e lo slogan “dietro ogni curva un sogno in rosa”. E nell’Italia del 2025 con i suoi 37 femminicidi in 135 giorni la donna ritorna a essere un’immagine esposta come una mercanzia.
Malgrado i dibattiti, i cortei, le manifestazioni il corpo femminile resta ancora lo squallido richiamo sessista utilizzato per vendere un prodotto o pubblicizzare un evento. C’è qualcosa di tragico, in tutto questo. Perché il corpo delle donne è il luogo dove da sempre si combattono le guerre invisibili. Quella del controllo. Quella del possesso. Quelle della rivalsa. E forse perché il corpo delle donne continua a non appartenere mai davvero a chi lo abita, ma a chi lo usa, a chi lo offende, a chi lo compra.
Chiediamoci anche una volta per tutte, perché è necessaria una figura femminile seminuda per raccontare una vicenda che con quel corpo non ha nulla a che fare? Forse è arrivato il momento di cominciare a raccontare le donne per quello che fanno, non per come appaiono. Forse è arrivato il momento di cercarle in un libro di storia non in una rivista patinata. Forse è arrivato il momento di farle scendere dai cartelloni pubblicitari e di ascoltare quello che hanno da dire. E se fosse questa la grande opportunità che stiamo perdendo?