C’era una volta una biblioteca. Non una biblioteca qualsiasi: chilometri di scaffali, manoscritti rari, libri che odoravano di polvere nobile e di storia. Una cattedrale laica del sapere. Si chiamava La Magna Capitana. E di «magno» aveva tutto: dimensioni, patrimonio, funzione civile. Poi un giorno… click: chiusa. Non per ferie, non per inventario, non per restauro affrettato. No, chiusa a tempo indeterminato. Che in Italia, si sa, significa «vediamo tra un paio di ere geologiche».
Ed eccoci al paradosso: una delle più grandi biblioteche pubbliche del Sud Italia oggi vive in esilio, deportata nei locali del Museo di Storia Naturale. Una scelta che sa di ironia involontaria: forse la cultura, qui, è considerata un reperto paleolitico, da osservare in vetrina insieme ai fossili.
Quali i colpevoli? Boh. Forse lo sanno gli dèi capricciosi dell’impiantistica antincendio, che da anni si disputano il destino di tubi e valvole. Forse lo sanno i politici, che però tacciono dietro sorrisi istituzionali e promesse da calendario perpetuo.
Risultato? Porte chiuse, cervelli sbarrati, città silenziata.
«La Magna Capitana» non era un semplice edificio: era un presidio. Un faro. Un luogo dove studenti e ricercatori trovavano ossigeno. Ora invece l’ossigeno si cerca altrove: nei bar rumorosi trasformati in sale studio improvvisate, o nei centri commerciali, che almeno hanno il Wi-Fi funzionante e poltrone comode. Viva la cultura, sezione fast-food.
Il tutto condito da rassicurazioni infinite: «i lavori proseguono, la riapertura è vicina». Un «vicina» che ormai ha fatto il giro del calendario quattro volte. Tanto vale candidare la biblioteca al Guinness World Records: «L’edificio culturale più a lungo in stand-by della Repubblica Italiana».
E allora perché non trasformarla direttamente in attrazione turistica? «Venite a Foggia! La biblioteca invisibile! Si ammira solo dall’esterno, biglietti in prevendita!». Una Disneyland dell’assurdo, con guide turistiche che indicano il nulla dietro i portoni chiusi.
Il problema, però, non è folcloristico. È concreto. Senza biblioteche, una città si spegne. Si spengono le piazze, si spengono le scuole, si spengono le persone. Una comunità senza libri diventa una comunità senza futuro. Ma tranquilli: almeno gli estintori saranno a norma.
Chiudere una biblioteca per anni non è un dettaglio tecnico, non è una casualità burocratica. È una scelta politica, consapevole o meno, che dice molto più di mille comunicati. Dice che la cultura può aspettare. Dice che i cittadini possono arrangiarsi. Dice che la città può continuare a spegnersi, purché gli atti siano timbrati e protocollati.
La speranza è che la Magna Capitana torni presto a essere ciò che il suo nome promette: grande, accogliente, viva. Perché senza biblioteche non c’è comunità, e senza comunità non c’è futuro.
La riapertura non è un regalo da scartare a Natale, né una elargizione da promesse elettorali(tra l’altro imminenti), ma un diritto da restituire. Ogni giorno di ritardo è un furto.
Di tempo, di dignità, di vita civile.
E allora sì, chiudere una biblioteca non è mai un incidente. È sempre, inevitabilmente, un atto politico.
Bentornato,
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