Grazie a “Il graffio”, il programma di approfondimento che ogni settimana va in onda su Telenorba con la conduzione del direttore Enzo Magistà, abbiamo avuto modo di vedere – da vicino – le paturnie quotidiane di un manipolo di agricoltori pugliesi. Per la precisione, abbiamo avuto il privilegio di conoscere i partecipanti al presidio dei trattori posto all’ingresso della città di Rutigliano. Si tratta di coltivatori dell’uva da tavola più buona dell’universo: la varietà Italia che, per qualità, sostanza e sapore non teme confronti.
Quest’uva, per entrare nel merito della riflessione, viene normalmente venduta nei supermercati ad un prezzo che varia dai tre ai quattro euro al chilo. Non poco. Ebbene, di questa cifra tornano nelle tasche dei nostri produttori solo tra i 50 e gli 80 centesimi. Appena un terzo se non addirittura un quarto del ricavo. Ma non è finita perché, se la produzione è cospicua, cala l’offerta e, vista la deperibilità del frutto, si arriva a saldi anche di 5 centesimi per chilo. Praticamente un’elemosina con la quale non si recuperano neanche le spese.
Ascoltandoli abbiamo capito che una volta non era così. Fino a trenta anni fa loro raccoglievano il prodotto e poi un centinaio di compratori locali, in concorrenza tra loro, faceva il prezzo migliore per assicurarsi la merce. Quella pratica era vantaggiosa per tutti, anche per il consumatore finale. Oggi il prezzo lo fanno tre, quattro big spender: lo concordano tra loro e, facendo spesso cartello, affamano i poveri coltivatori. Nessuno ha il coraggio di dirglielo, ma in questa filiera non c’è più spazio per loro. Non fanno più la differenza, dunque non interessano più a nessuno. Eppure, a guardare i loro occhi, a sentire i loro discorsi, a noi è venuta una voglia matta di uva Italia.
I nostri amici di Rutigliano sono gran lavoratori… a perdere. E come loro chissà quanti altri nel nostro Paese. Chiedono solo un po’ di giustizia. Lo fanno con i trattori: e che male c’è! Lo fanno per le loro famiglie, per i loro figli piccoli a cui intendono dare un futuro di speranza. Chiedono pochissimo. L’eliminazione delle tasse statali sul gasolio necessario per i trattori e per le pompe che devono tirar su dai pozzi artesiani l’acqua necessaria per irrigare i campi, la cancellazione dell’Irpef e -soprattutto- la valorizzazione del loro sudore.
Noi non crediamo che riusciranno ad ottenere tutto ciò. Ed allora è stato importante sentir parlare nel programma di esempi come quelli del Salone del gusto di Slow Food a Torino, delle Comunità del Cibo di Terra Madre dove le contadine ed i contadini, proprio attraverso la famigerata Rete che ci rimbambisce, sono riusciti invece a creare dei mercati paralleli a quelli delle multinazionali. Mercati nei quali guadagnano il giusto e non sono sfruttati.
In puntata tante cose sono state dette da Benny, da Pasquale e da tutti quanti gli altri. E non era difficile intravedere il loro sguardo tra il sorpreso e l’affascinato per poi replicare che il problema non sono solo gli accordi europei, spesso fasulli, ma un’acerrima concorrenza sleale. Perché al mercato si trova ormai della frutta esotica che arriva da decine di migliaia di chilometri di distanza e che, a causa di una manodopera sottopagata e senza contributi versati, grazie all’uso di pesticidi che vengono usati senza regole ed aumentano la produttività dei campi, hanno un prezzo più che concorrenziale. E, vista la crisi, tutti comprano quelli e non i nostri prodotti nostrani sicuri e succosi. E poi c’è il pizzo, i furti nei campi, le intimidazioni. Accidenti! Ecco, per tutte queste ragioni è importante riflettere sulla realtà che ci ha mostrato Telenorba. Anche perché noi consumatori queste cose le dobbiamo sapere, ma soprattutto noi cittadini queste persone le dobbiamo aiutare.
Infine, l’ultima cosa la scrivo parlando in prima persona. Forse, dico forse, perché chi sono io per dare certezze, forse un trattore ci azzeccava a Sanremo. Perché, se è vero che il festival è lo specchio della società, nessuno va nascosto dietro le quinte di un sipario. Nessuno.