Negli ultimi tre decenni, il panorama dei salari in Europa ha subito notevoli cambiamenti; ma mentre molti paesi europei hanno registrato aumenti salariali significativi, l’Italia ha assistito a una preoccupante tendenza al ribasso, rimanendo così impantanata in una stagnazione inquietante.
I dati evidenziati recentemente dal rapporto della Fondazione Di Vittorio della Cgil, che ha calcolato la differenza salariale tra il 1991 e il 2023, fotografa in maniera drammatica la situazione: negli ultimi 30 anni, i salari medi nei principali paesi europei sono aumentati in una forbice compresa tra i 2mila euro (in Spagna) e i 10mila euro (in Germania), registrando invece in Italia una diminuzione in termini medi di circa mille euro. Dati confermati anche da OpenPolis che ci dice come, tra il 1990 e il 2020, l’Italia è risultata l’unica nazione tra i Paesi europei Ocse ad aver avuto una decrescita dei salari annuali medi pari al -2.9%.
La Puglia purtroppo non fa eccezione, e se pur inserita in un contesto di graduale e continuo miglioramento dei redditi degli ultimi anni, continuiamo ancora ad essere lontani dalla media nazionale. In base ad uno studio sulle dichiarazioni Irpef con i dati elaborati del Dipartimento delle Finanze del Ministero dell’Economia, infatti, il reddito medio per contribuente in Puglia nel 2023 è di 18.125 euro (+5% rispetto al 2022), mentre il reddito medio pro-capite rapportato alla totalità popolazione pugliese è di 12.111 euro.
Il trend degli ultimi cinque anni è quindi in continua crescita: nel 2018 è stato di 15.630 euro, nel 2019 di 16.670, nel 2020 di 16.910, nel 2021 di 16.930 e nel 2022 di 17.670. Se però confrontiamo il dato col reddito medio più elevato in Italia, ovvero quello della Lombardia con quasi 27mila euro, e con la media nazionale di quasi 23mila, si comprende quanta strada ancora ci sia da fare.
Le cause di questi fenomeni sono complesse e molteplici, ma se dovessimo sintetizzarle in quattro fattori principali potremmo ricercarle nella stagnazione economica, ovvero una crescita economica nazionale costantemente più lenta rispetto a quella di altri Paesi europei, e almeno in questo la Puglia fa eccezione in positivo negli ultimi anni; la disoccupazione, con un tasso di disoccupazione sempre oltre la media europea che ha esercitato una naturale pressione al ribasso sui salari, soprattutto nel meridione del Paese; le riforme del lavoro, poche e confusionarie, che non sono riuscite a migliorare adeguatamente le condizioni lavorative e salariali, dimostrando una rigidità del sistema contrattuale e una debolezza della contrattazione collettiva; la formazione professionale, ovvero la mancanza di una pianificata politica di investimenti a lungo termine nella formazione professionale che ha limitato le opportunità di sviluppo per i lavoratori italiani, trend che sembra però essere in una fase di controtendenza, con una presa di coscienza da parte di istituzioni, imprese e lavoratori che fa ben sperare nel futuro.
Salari bassi incidono negativamente sulla produttività dell’intero sistema economico che, a cascata, si ripercuote sulla qualità della vita dei cittadini, erodendo il loro potere d’acquisto e limitando le loro opportunità di consumo e investimento. Risulta quanto mai urgente intervenire per invertire questa generale tendenza negativa ed è essenziale che Governo e imprese, così come timidamente appare, investano maggiormente in politiche attive per l’occupazione e nella formazione professionale.
Sono quindi necessarie misure economiche e industriali che favoriscano la crescita dei salari, puntando sulla creazione di posti di lavoro di qualità e sull’aumento di una produttività più mirata. Solo così sarà possibile creare un ambiente lavorativo più equo e prospero per tutti, con salari e redditi dignitosi, facendo recuperare all’Italia il terreno perduto nei confronti dei Paesi europei e garantendo un futuro alle nuove generazioni.
Bentornato,
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