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Sagre e cortei, nostalgia del Medioevo

Nostalgia di Medioevo. Guardando certi calendari estivi, viene il dubbio che non ne siamo mai usciti. Sagre, cortei in costume, dame e cavalieri, duelli di cartapesta, sbandieratori che agitano pezzi di stoffa, rievocazioni storiche spesso dal sapore apocrifo.

Non c’è estate senza corteo storico. Intere comunità si travestono da villaggi medievali, con sindaci in calzamaglia, assessori che si improvvisano falconieri e proloco che arruolano pensionati come cavalieri templari.

Tutto molto pittoresco. Eppure, sotto le piume, i velluti e i tamburi, c’è l’ombra lunga di un Rinascimento che, in molte comunità, non è mai arrivato.

È curioso che i fondi del PNRR Borghi da investimento per ricerca, cultura e innovazione, in parte finiscano destinati ad improbabili disfide cavalleresche con il parroco rivestito da frate francescano e il vicesindaco da armigero, la chiamano “valorizzazione del territorio”.

Il corteo storico diventa terapia di gruppo, la sagra il pronto soccorso economico: un modo per fingere un passato glorioso e dimenticare un presente che non ha progetti più ambiziosi di una giostra medievale posticcia.

Il Medioevo, si sa, era il tempo delle corporazioni, dei feudi, dei balzelli, della schiavitù della gleba. Qualcosa ci è rimasto: associazioni culturali che difendono il loro angolino come baronie, rivalità tra rioni che sembrano guerre di campanile, e tasse comunali che hanno un che di tributo feudale.

Solo che, invece dei balestrieri, abbiamo i vigili urbani col blocchetto delle multe. Si parla di “valorizzazione delle radici”. Ma le radici, qui, non portano frutti. Portano salamelle. Le sagre sono il nostro vero motore economico: altro che Silicon Valley, noi abbiamo la Porchetta Valley, con cluster di bancarelle, start-up di sbandieratori e incubatori di vinello sfuso.

Così, mentre la retorica celebra “il ritorno alle radici”, la modernità resta in attesa come un artista rinascimentale a cui nessuno commissiona nulla.

Invece di mecenati illuminati, abbiamo sponsor di salumifici. Invece di rivoluzioni culturali, tornei di briscola in costume d’epoca. Il Medioevo che rievochiamo in piazza è lo stesso che regna nei municipi: feudi, baronie, rivalità da rioni, vassalli e valvassori con tanto di contributi pubblici. Solo che le armature sono fatte di modulistica e burocrazia.

Il Rinascimento (mancato) chiedeva creatività, visione, apertura al nuovo.

Noi preferiamo la rassicurante liturgia del passato in costume, con tanto di stinco di maiale e calice di plastica. Domanda: siamo davvero nostalgici del Medioevo, o semplicemente non ci siamo mai alzati da lì? Forse il vero spettacolo non è la rievocazione storica, ma la rivelazione contemporanea: che molte comunità hanno saltato il Rinascimento e si sono fiondate dritte nel manierismo/barocco delle sagre, con fuochi d’artificio finali e premiazione della miglior crostata. Il Rinascimento, insomma, lo aspettiamo ancora. E guai a chi osa dire che, forse, sarebbe ora di guardare avanti. “Traditore!”, grideranno, “Eretico!”. Manca solo il rogo in piazza: il resto lo abbiamo già, dalle corporazioni chiuse in sé stesse. Nel frattempo, evviva il Medioevo in piazza. Sperando non torni anche l’Inquisizione, sarebbero tempi duri per gli aedi della porchetta, sarebbero i primi a finire sulla graticola.

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