Gli Stati Uniti hanno imposto, dal 3 aprile, nuovi dazi del 20% su tutti i prodotti europei, colpendo duramente l’agroalimentare del Sud Italia. Vino, pasta e formaggi, simboli dell’eccellenza di Puglia e Basilicata, rischiano ora di perdere terreno in uno dei mercati più importanti: quello americano. La nuova “dottrina dei dazi reciproci” annunciata da Trump, mira a pareggiare i conti con i partner commerciali. Ma se a Washington parlano di strategia, qui si parla di emergenza.
«Il nostro vino biologico andava forte a New York e a Los Angeles. Ora gli importatori stanno rinegoziando i contratti, temono che i prezzi diventino insostenibili – racconta Nicola Roncone, viticoltore della Valle d’Itria – Abbiamo investito negli ultimi anni per conquistare quei mercati. Rischiamo di perdere tutto».
Le nuove tariffe colpiscono in pieno tre prodotti chiave dell’economia agricola del Sud: come il vino la pasta secca ed i formaggi stagionati che subiranno aumenti che possono oscillare dal 20% al 35%. Secondo Coldiretti, i dazi potrebbero causare una perdita di oltre 300 milioni di euro per il vino e danni consistenti per tutta la filiera agroalimentare. Secondo il presidente del gruppo GTS Nicola Muciaccia: «Gli effetti di questa guerra dei dazi sono difficilmente prevedibili, infatti, il crollo delle tariffe nei noli marittimi, può aiutare a contenere il rincaro dei prezzi. Sono convito che la domanda di prodotti Made in Italy di alta gamma sia abbastanza anelastica, per cui gli effetti maggiori si avranno sui prodotti di largo consumo. Ancora una volta il peso di questa battaglia commerciale ricadrà sulle spalle dei ceti meno abbienti».
«Abbiamo clienti fissi negli Stati Uniti che comprano il nostro caciocavallo da anni. Se il prezzo finale sale troppo, finiranno per rivolgersi a prodotti di imitazione – spiega Anna Angelillis, produttrice di prodotti caseari del Gargano – È assurdo: loro perdono qualità, noi perdiamo lavoro».
Dal mondo politico, il ministro Antonio Tajani ha chiesto all’Ue di non inserire vino e formaggi italiani tra i prodotti oggetto di ritorsione. Anche la presidente Meloni ha parlato di «scelta sbagliata che colpisce le eccellenze italiane», auspicando un dialogo per scongiurare una guerra commerciale.
Oltre ai produttori, anche i consumatori americani subiranno le conseguenze. Negli anni passati, un dazio del 25% sul parmigiano aveva fatto salire i prezzi fino a 45 euro al chilo. Ora il timore è che l’aumento colpisca anche vini e paste tipiche. Il rischio, secondo Coldiretti, è il boom del fenomeno “italian sounding”: prodotti americani che imitano i nomi italiani (tipo “Parmesan” o “Chianti”), ma che nulla hanno a che vedere con l’originale. Molte aziende italiane stanno cercando soluzioni. Alcune puntano a mercati alternativi, come Canada e Asia. Altri sperano che si possa riaprire il mercato Russo e che terminino le sanzioni che hanno fatto perdere quote importanti di fatturato ai nostri produttori.
I dazi americani sono un attacco a un modello economico fondato su qualità, identità e fatica. Per la Puglia e la Basilicata, è anche una battaglia culturale: difendere i sapori del territorio, le filiere corte, il lavoro agricolo. Serve una risposta rapida, concreta e condivisa: dalle istituzioni locali al Governo, fino ai consumatori. Perché dietro ogni bottiglia, ogni forma di formaggio o pacco di pasta c’è una storia che non può finire per colpa di un dazio.
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