Il 23 aprile scorso, nel suggestivo Palazzo dell’Acquedotto Pugliese a Bari, il professore Francesco Billari, rettore dell’Università Bocconi di Milano, ha lanciato un potentissimo appello: l’Italia è destinata a invecchiare e impoverirsi, perdendo il suo capitale umano più prezioso. Serve quindi un cambio di rotta sui modelli di educativi e di sviluppo.
Viviamo un “inverno demografico” conclamato: nel 2024 i nuovi nati in Italia saranno circa 370mila, mentre l’emigrazione giovanile continua a erodere ulteriormente le nostre risorse future. In questo scenario, la retorica sulle “culle vuote” si scontra con una realtà ancora più drammatica: non è solo la natalità a calare, ma è il nostro intero sistema formativo ad essere inadatto ad affrontare le sfide del ventunesimo secolo.
Secondo Billari, l’Italia è uno dei Paesi con il più basso tasso di laureati in Europa e una simile condizione la rende poco attrattiva per i migranti qualificati e, al tempo stesso, esportatrice netta di giovani talenti. Un vero paradosso: formiamo (spesso bene) i nostri ragazzi per poi lasciarli andare all’estero, attratti da contesti lavorativi e retributivi più dinamici.
Ma il cuore del problema è più profondo e ha radici antiche. Il sistema scolastico italiano resta legato a una logica di selezione precoce, figlia della riforma Gentile, che continua a canalizzare gli studenti sin dalla scuola media in percorsi scolastici rigidi e spesso definitivi. «Abbiamo accettato di sprecare talenti – afferma il rettore Billari – e questo oggi non ce lo possiamo più permettere».
La soluzione? Un cambiamento sistemico, dunque non marginale. Bisogna superare il modello della “scuola a imbuto” e garantire a tutti gli studenti la possibilità reale di arrivare alla soglia dell’università. Occorre poi ridurre i tempi degli studi, come già accade in altri Paesi europei, e rimettere in discussione la pratica della bocciatura, che prolunga inutilmente i percorsi formativi senza fornire reale valore aggiunto.
Il sistema scolastico dovrebbe essere ripensato su base unificata fino ai 18 anni, come nei modelli in vigore nei Paesi nordici, per lasciare aperte le strade dell’istruzione a tutti, soprattutto agli studenti con un background migratorio. «Oggi il 21% dei nati in Italia ha almeno un genitore straniero – ricorda opportunamente il rettore Billari – Non possiamo permetterci un sistema che esclude o penalizza chi parte in ritardo con l’italiano».
Il ruolo delle università, secondo Billari, è quindi duplice: da un lato essere centri di eccellenza e ricerca, dall’altro contribuire alla formazione continua anche degli adulti, in un’epoca segnata da intelligenza artificiale, dati e trasformazioni profonde del mondo del lavoro. «Le scienze sociali dovranno diventare sempre più scientifiche, e tutti i ragazzi dovranno saper lavorare con i dati», osserva il numero uno della Bocconi.
La Puglia, che è fra le regioni a rischio spopolamento, può diventare un laboratorio di innovazione educativa e sociale. Ma occorre il coraggio politico di investire nella scuola, ridurre le disuguaglianze e rimettere i giovani al centro dell’agenda pubblica. Perché, senza giovani preparati e motivati, non ci sarà futuro né per il Mezzogiorno né per il Paese intero.
Bentornato,
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