Ripartiamo da salari e sviluppo

L’export da record che supera i 10 miliardi e un segno “più” sul numero degli occupati (60mila rispetto al 2021 e 50mila sul 2019) sono evidenze che non possono e non devono fare da specchietto per le allodole per chi vuole trarre inferenze statistiche ragionando sullo stato di salute dell’economia e del mercato del lavoro pugliesi. Se i dati macro-economici testimoniano un allineamento alle performance pre-Covid e sicuramente un fatto positivo, soprattutto se in un anno sono calati di 5mila unità i contratti a tempo determinato e aumentati quelli a tempo indeterminato. Il Sud, tuttavia, sconta un gap in termini salariali: lo spaccato offerto dall’istituto Tagliacarne parla di un Paese a due velocità perché un lavoratore dipendente residente a Bari guadagna un terzo di uno occupato a Milano e metà di un romano. Se ci allontaniamo dal capoluogo la situazione peggiora, con le province pugliesi che se la passano peggio di Matera e Potenza. C’è, quindi, tanto da fare in alcuni settori chiave, in primis nell’agroalimentare che è in rilancio anche grazie all’exploit dell’export, trainato da prodotti d’eccellenza che si impongono in Europa e nel mondo.

Il 2022 ha segnato, infatti l’aumento record del Made in Puglia pari al 16% grazie a prodotti simbolo della dieta mediterranea come vino, pasta, olio e ortofrutta. La filiera vitivinicola regionale, inoltre, ha saputo ritagliarsi sul mercato estero un +9%, nonostante l’inflazione che pesa sui consumi e l’aumento dei costi per la produzione e il trasporto: il Primitivo ormai è il vino più venduto in Italia con 4,5 milioni di litri consumati. Anche l’ortofrutta nel 2022 ha macinato, in Puglia, record su record toccando 756 milioni di ricavi per le sole 819 aziende società di capitali, con un aumento di 108 milioni rispetto a 12 mesi prima. A dicembre erano 19.729 le sedi d’impresa pugliese per quasi 40mila addetti, primo posto tra tutte le regioni italiane: secondo Ismea, la Puglia è prima per aziende ortive in piena area, seconda dietro la Sicilia per frutteti e terza per legumi. Le performance del comparto si riflettono anche sul mercato del lavoro bracciantile che, dopo lo stop legato al Covid, sta mostrando importanti segnali di ripresa e lo si evince dal numero delle giornate lavorate in agricoltura che è tornato a crescere.

Bisogna, quindi, ripartire dai salari, riducendo la pressione fiscale e ridando potere di acquisto alle classi più fragili, come quella bracciantile. Un lavoro, quello agricolo, che per sua natura ha carattere stagionale ed intermittente: ciò è dovuto a periodi in cui si concentra l’occupazione, per lo più massiva, parliamo delle stagioni di raccolta di determinate colture, pomodoro, anguria e uva su tutte. Chi è occupato in campagna ha un impiego che alterna periodi più intensi ad altri di “magra”: non ha certezze sul futuro e, molto spesso, deve fare i conti con fenomeni di “opacità” che delegittimano il suo ruolo, la sua professione e la sua dignità. Caporalato e lavoro non regolare rimangono piaghe che fanno da zavorra all’intero comparto e non solo a quello dipendente. Una zavorra sia per lo Stato che per le stesse imprese, in quanto la presenza del fenomeno dell’evasione dei contributi sociali porta con sé importanti conseguenze in termini di alterazione dei meccanismi concorrenziali tra le imprese, ma anche di riduzione delle risorse pubbliche a disposizione e di minore tutela riservata ai lavoratori impiegati irregolarmente.

Contro il lavoro irregolare una grande vittoria i sindacati l’hanno ottenuta con la condizionalità sociale, legando l’ottenimento dei contributi pubblici al rispetto dei contratti e delle leggi sociali, una norma che entrerà in vigore con il varo del Psn e dei nuovi Psr. Bisogna rendere attrattivo il comparto agricolo, puntando sulla piena applicazione dei contratti di lavoro, sul corretto inquadramento e sulla formazione delle professionalità per una agricoltura sempre più al passo con l’innovazione. Ma servono anche investimenti che rafforzino il sistema agroalimentare nella sua interezza. Una grande spinta la potranno dare proprio i piani di sviluppo, indispensabili per poter parlare di rigenerazione di territori colpiti dalla Xylella e di investimenti nelle aree più vocate a impianti a medio-alta densità.

Pietro Buongiorno è segretario di Uila Puglia

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Exit mobile version