Erano urla, erano piatti che volano, sogni infranti, farfalle cadute, era il terrore negli occhi dei bimbi, occhi lividi, pianti interrotti, disordine, paura, il padre padrone, la mano che colpisce, insulti, minacce. La violenza ha tanti volti ma un’unica conseguenza: cancella i sogni e uccide sempre.
Devastazione, umiliazione, ferite profonde, una catena di violenza che non si spezza, dal padre al figlio senza soluzione di continuità. La lotta alla violenza di genere è appena cominciata, il cammino è ancora lungo e tortuoso, occorre educare, occorre che i giovani comprendano il limite tra loro e gli altri, il rispetto della dignità.
Nella giornata sulla violenza di genere contiamo il numero dei femminicidi, sono cento da inizio anno, cento donne uccise o violate per mano di colui che diceva di amarle: Maria, Anna, Giulia, Carla… sono tutte vittime della società, della burocrazia, di leggi che ancora non ci sono. Orfani di madri abbandonate, figli di una società ancora troppo distratta.
Oggi più che mai occorre rassicurare le donne che subiscono violenza, un reddito di libertà facilmente accessibile e tale da consentire la sopravvivenza delle vittime, un controllo serrato sui centri antiviolenza che spesso risultano poco efficienti.
La violenza di genere è innanzitutto una violenza economica, che costringe le donne a subire per la paura di non riuscire a sopravvivere, a garantire il sostentamento ai propri figli. È proprio questa condizione economica la prima causa delle mancate denunce.
La corsa a trovare la soluzione dovrebbe partire da una seria e strutturale modifica delle modalità di accesso al reddito di libertà, il quale, secondo la normativa vigente, richiede l’inizio di un percorso di fuoriuscita dalla violenza presso i centri antiviolenza riconosciuti dalle Regioni e dai servizi sociali; un percorso che richiede coraggio e che molte non riescono a trovare.
Per di più, bisogna fare i conti con l’affitto, le bollette e ogni necessità che una famiglia possa avere, l’importo è dunque insufficiente a garantire il sostentamento della vittima e dei suoi familiari, soli quattrocento euro per vivere, per essere libere.
Auspichiamo dunque, che il Legislatore possa colmare questa lacuna, eliminando la condizione di ammissibilità al reddito di libertà in quanto eccessivamente gravosa per la vittima, e adeguando l’importo alle effettive esigenze di vita del nucleo familiare rendendo così effettiva la libertà di autodeterminarsi per impedire alla vittima di morire sotto i colpi del suo aguzzino.
La paura di non riuscire a vivere scoraggia le denunce. Perché solo accogliendo e rassicurando la vittima possiamo contribuire a reprimere gli autori delle violenze.
Francesca D’Alessandro è avvocata matrimonialista