Rafforzare il pensiero critico per difendere la nostra autonomia nelle decisioni

Accade spesso a tutti noi di riflettere sul perché ci siamo comportati in un certo modo o sui motivi per cui, qualcuno che conosciamo, ha deciso di fare qualcosa anziché qualcos’altro. Lo chiediamo a noi stessi, ne discutiamo con gli altri. Come possiamo spiegarci le nostre azioni? Rispondere non è affatto semplice. La spiegazione causale (ossia data una causa ci sarà inevitabilmente un determinato effetto), adottata per esempio dalle scienze naturali, è evidente che non dà conto dei rapporti umani. Poniamo il caso che io chieda a una persona di sedersi su un divano: può intendere la mia richiesta e accettare di farlo. Ma potrei anche darle uno spintone affinché cadendo si sieda sul divano. Il risultato è lo stesso in entrambe le situazioni, nonostante siano accadimenti incomparabili.

Nel primo caso, la persona avrà compreso il senso della mia richiesta e scelto di assecondarla, ma avrebbe anche potuto rifiutarsi di farlo; nel secondo, avrei trattato il suo corpo come un oggetto che spinto da una forza è inevitabilmente caduto. Ricevere una spinta e comprendere il senso di un’espressione linguistica sono due attività tra loro completamente diverse. Una spinta produce una forza che causa uno spostamento, mentre farebbe sorridere, se volessi sostenere che è stata la forza delle vibrazioni emesse dalla mia voce a spingere la persona a sedersi.

Quel che riguarda il movimento di corpi, oggetti, energia è abbastanza prevedibile: se conosciamo la causa possiamo predirne gli effetti. Le relazioni umane, i comportamenti, gli atteggiamenti sia individuali che di gruppo, hanno invece una maggiore e diversa imprevedibilità: si fondano sul linguaggio e sul senso. Che non sono cose, cioè non hanno dimensioni, né fisica né spaziale. Una ragione la si può condividere, fraintendere o negare, ma non la si può misurare come potremmo fare con una cosa. Il linguaggio, oltre che indicare, ci permette di mentire, sedurre, manipolare, minacciare, promettere e così via. Se le azioni umane fossero spiegabili col metodo causa-effetto, saremmo considerati degli automi che reagiscono a forze e spinte.

E allora cos’è il senso? Il senso lo ritroviamo nel nostro ragionare, nel rendere conto, negli atteggiamenti, nelle spiegazioni. È il nostro modo di comportarci da esseri umani. Le nostre azioni comunicano un significato perché esprimono una scelta e hanno sempre un carattere sociale, pubblico.

Un’azione si svolge sempre in un contesto ed è soggetta a vincoli fisici, economici, giuridici, culturali. Non posso pensare di fare l’astronauta se soffro di vertigini, non posso acquistare tutti i beni e i servizi che voglio se non ho un reddito che me lo permette, non posso in Italia sposarmi con due donne, non vado a un funerale facendo salti di gioia. Compatibilmente con tali vincoli si formano delle opportunità. E dunque la domanda è: quale azione sarà intrapresa, tenendo conto di quelle opportunità? Per rispondere occorre introdurre un altro elemento: le nostre preferenze, o anche i nostri desideri. In prima approssimazione potremmo dire che un’azione è il risultato di un incrocio tra le opportunità, ciò che possiamo fare e le preferenze, quel che vogliamo, desideriamo, fare.

Sembrerebbe che le opportunità, le possibilità, siano lì, fuori di noi, nello spazio sociale, mentre le preferenze, i desideri, sarebbero la nostra espressione più soggettiva. A ben guardare però non ci sono opportunità catalogate da qualche parte, là fuori nel mondo. E qui entra in gioco il ruolo delle credenze che tutti noi abbiamo a riguardo delle opportunità di cui disponiamo. Ma cos’è una credenza? È un’impressione personale di certezza: «Credo che mio figlio sceglierà una facoltà scientifica, nonostante i suoi studi precedenti». O anche un’opinione di cui ci si sente sicuri: «Credo che i giovani d’oggi siano più pigri di quelli della mia generazione». Le credenze servono per spiegare eventi, fenomeni di cui non conosciamo esattamente la risposta. Il punto è che le domande che ci stanno più “a cuore”, quelle più importanti per la nostra vita, hanno spesso una risposta vaga, approssimativa, e iniziano quasi sempre con «credo che…». Le credenze possono indurci a limitare o a escludere opportunità o viceversa a sottovalutarne l’inconsistenza. Qualche esempio: «Se anche mi impegnassi, so che non potrei superare quel concorso» oppure «Finora mi è andata bene, sono certo che anche questa volta sarà così».

Ma non solo: un’altra attitudine che caratterizza i rapporti umani è quella di sviluppare aspettative: ciascuno di noi si aspetta dagli altri comportamenti abbastanza regolari e ripetitivi. Seguire una regola è un’abitudine collettiva per cui, abbastanza spesso, è prevalente un agire conforme e regolare: la condotta umana è quasi sempre uniforme e ripetitiva, abbastanza prevedibile, ma non del tutto e non sempre.

Eppure noi umani mostriamo un’altra caratteristica distintiva, la potenzialità, intesa come capacità creativa in grado di fronteggiare gli imprevisti e gli urti del mondo, ma anche di mutare il corso di una vita, di un gruppo, di una comunità. Sennonché la potenza di agire, quel che potremmo fare, mostra un suo contrappeso nell’altra accezione di potere, intesa come potenza esercitabile su qualcun altro, il quale subisce, inevitabilmente, una limitazione delle sue possibilità di scelta. Le relazioni di potere possono soffocare sul nascere una possibile libertà di scelta. Creatività, innovazione, capacità di offrire risposte nuove sono intermittenti, spesso irretite nei dispositivi di mercato (pensiamo, ad esempio, agli spot pubblicitari) e purtroppo quasi sempre assenti dalla scena della vita politica.

Decidere è un’azione che avviene nei margini esigui di libertà concessi dalle credenze, dalle aspettative, dalle abitudini, dalle relazioni di potere. Raramente una decisione assume il segno di una scelta che potrebbe contrastare comportamenti ripetitivi, routinari, obbedienti. Ma ciononostante, le nostre azioni possono essere trasformative e innovative.

Ne vorrei indicare qui una tra altre. Prendere la parola, farsi ascoltare, è sempre un atto pubblico, sebbene oggi ascoltiamo spesso chiacchiericci inconcludenti e acuti stridenti. Amplificare e moltiplicare le voci di quei discorsi che ancora mostrano un pensiero critico potrebbe essere un compito da intraprendere con impegno, mostrando alle nuove generazioni, spesso ridotte al silenzio dalle credenze, dalle abitudini e dalla inconsistenza delle opportunità, non un impalpabile e retorico senso di libertà ma la possibilità di scelte e decisioni autonome.

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