Ripenso, in giornate come queste, al fiasco smezzato di Fracis Fukuyama. Me lo immagino adagiato e paonazzo il giusto nel profetizzare la “fine della storia”. Era il 1989 – anno di grazia, senza ombra di dubbio – e il Nostro profetizzò – dopo il crollo del blocco sovietico e la conseguente fine della Guerra Fredda – le “magnifiche sorti” della democrazia liberale e del capitalismo i quali avrebbero permeato tutte le nazioni del pianeta.
I giorni che viviamo non sono solo la smentita più plastica della profezia fasulla, ma rischiano di retrodatare la storia, mettendo con le spalle al muro chi tenta di ancorare l’agire politico ad un pensiero.
L’angolo visuale – un tantito strabico – è la recente lettera del Papa ai vescovi degli Stati Uniti d’America. Una nota inedita, fuori dal tempo, ma necessaria. Necessaria non solo nei contenuti ma anche nei destinatari: nel 2021, infatti, in concomitanza con l’avvio del mandato di Biden, la conferenza dei vescovi cattolici Usa mandò al nuovo presidente un messaggio duro accusandolo di attacco alla vita e alla dignità umana; a fronte di quel messaggio nessuna voce discordante ovvero accorata ha contrassegnato l’avvio del mandato di Trump. Nessuna. Nulla.
Una nota anche eretica, perché eretico è il tema delle deportazioni di massa legato agli Stati Uniti: «Sto seguendo da vicino – scrive papa Francesco – la grande crisi che si sta verificando negli Stati Uniti con l’avvio di un programma di deportazioni di massa. La coscienza rettamente formata non può non compiere un giudizio critico ed esprimere il suo dissenso verso qualsiasi misura che tacitamente o esplicitamente identifica lo status illegale di alcuni migranti con la criminalità. (…) Detto ciò, l’atto di deportare persone che in molti casi hanno abbandonato la propria terra per ragioni di povertà estrema, insicurezza, sfruttamento, persecuzione o grave deterioramento dell’ambiente, lede la dignità di molti uomini e donne, e di intere famiglie, e li pone in uno stato di particolare vulnerabilità e incapacità di difendersi».
Le questioni, a dire il vero, travalicano anche il contingente tragico delle deportazioni annunciate ed esibite: intaccano e interpellano il nucleo oserei dire teologico del trumpismo ovvero quella che viene conosciuta come la “teologia della prosperità”, nella sua identità di corrente teologica neo-pentecostale evangelica.
I pilastri del “vangelo della prosperità” sono due: il benessere economico e la salute: il nucleo incandescente di questa “teologia” è l’atto di affidamento ad un Dio proteso a garantire ai suoi fedeli una vita prospera, sia dal punto di vista economico che fisico. Questa rete teologale – robusta e potente, diffusa anche nel suolo patrio – è un tutt’uno con l’American dream e con il neoliberismo economico.
Negli Stati Uniti il numero di fedeli che frequentano queste “mega-chiese” è innumerevole e i predicatori – volti notissimi anche all’intero dei mass-media – raggiungono milioni di persone con tutti i mezzi disponibili di internet e delle reti sociali.
Non è un caso che il presidente Donald Trump – nel discorso sullo stato dell’Unione, del 30 gennaio 2018 – ha affermato: «Insieme, stiamo riscoprendo il “modo americano di vivere” (…) “In America, sappiamo che la fede e la famiglia, non il governo e la burocrazia, sono il centro della vita americana. Il motto è: “Confidiamo in Dio”. E celebriamo le nostre convinzioni, la nostra polizia, i nostri militari e veterani come eroi che meritano il nostro sostegno totale e costante».
Senza la “teologia della prosperità” non si spiega quello che Trump, Musk e Vance stanno facendo alle agenzie di aiuto e di carità, provvedendo al loro scientifico smantellamento; non si spiega la visione della povertà quale condanna religiosa prima che morale; non si spiega la totale mancanza di compassione per le persone povere vulnerabili e fragili: la loro colpa d’autore è il non aver seguìto le “regole” e, quindi, vivono “giustamente” nel fallimento in quanto non amate da Dio.
La miscela diventa ancora più esplosiva se si lega qusto fenomeno all’integralismo cattolico – è datato 2017 un contributo fondamentale, apparso su La Civiltà Cattolica, a firma di Antonio Spadaro e Marcelo Figueroa su “Fondamentalismo evangelicale e integralismo cattolico” – in una prospettiva in cui “La parola «ecumenismo» si traduce così in un paradosso, in un «ecumenismo dell’odio». L’intolleranza è marchio celestiale di purismo, il riduzionismo è metodologia esegetica, e l’ultra-letteralismo ne è la chiave ermeneutica”.
Quando ci si interroga sulla risposta dare a Trump è evidente che il perimetro dell’interlocuzione non è legata al contingente, alla struttura muscolare, ai dazi, alla Terre rare ma interpella – ben prima del destino di un continente – la sua cultura, il suo pensiero.
Bentornato,
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