Un tempo il mondo lo si vedeva solo uscendo dalla porta di casa, percorrendo strade, incontrando persone, scambiando opinioni.
Per vincere la nostalgia della lontananza si scrivevano lettere, si attendeva con trepidazione la risposta. E poi un tempo ci si guardava negli occhi e anche prima di parlare si aspettava, si aspettava il silenzio giusto da interrompere. Oggi non si esce dalla porta di casa, non si percorrono strade, non si incontrano persone, tanto meno si scrivono lettere o si attendono risposte.
Oggi si posta. Si posta sempre. Si posta tutto. Si posta anche la cronaca di un incidente stradale, come è successo recentemente a una nota stilista, che attraverso delle “storie” postate su un social network ha raccontato di aver investito un ciclista con tanto di foto dell’ambulanza e della barella. Oggi i pensieri sono diventati “tweet”, ogni dolore deve essere pubblicato, ogni gioia deve essere condivisa, perché ciò che non viene visto non esiste. Ma dietro questa sovraesposizione, si cela un vuoto.
I social network hanno invaso le nostre vite non con la forza, ma con la promessa seducente dell’onnipresenza: esserci sempre e ovunque. Ma cosa perdiamo, quando siamo connessi a tutto, tranne che a noi stessi? Forse è il momento di riprenderci il tempo.
Di ascoltare invece che commentare. Di guardarci negli occhi, ti toccarci, di parlarci. Perché la vita non è in un post. La vita è in quei momenti che succedono così all’improvviso, quando nessuno guarda e non può mettere “mi piace”.
Bentornato,
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