Ci risiamo: un altro presunto caso di mazzette ai danni, manco a dirlo, dell’amministrazione pubblica e addirittura della Protezione civile. Paga le conseguenze perché ad oggi colpevole, in quanto condannato sebbene in via non definitiva, un ex dirigente della Regione Puglia il cui nome, francamente, non mi va nemmeno di menzionare vistane la pochezza.
Evitiamo i commenti, e le finte bocche aperte per celebrare il nostro disappunto e non rifugiamoci in un consentito e sempre comodo “le cose sono sempre andate così”. Mai come in questo caso, che comunque non è il primo, possiamo fino a prova contraria dire che questa non è mafia, anzi camorra barese. Nel senso che, cosa pur sempre temibile e comprensibile, l’illecito di frode ai danni dello Stato non è riconducibile, ad oggi, ad attività dirette di cosche mafiose specifiche e volontariamente coinvolte nello scandalo.
Peraltro la camorra barese gira su altre cifre e non si accontenta di 10-20mila euro. Per ora non sembrerebbe, insomma, anche se non stupirebbe l’apparizione di altri giri sommersi le cui inchieste sono immediatamente bloccate dal rito abbreviato velocemente richiesto.
E se non è camorra barese, allora cosa è? Ritengo con convinzione profonda che il vero problema nella lotta all’antimafia e all’illegalità diffusa sia proprio la zona grigia di imprenditori/dirigenti/professionisti, non mafiosi, che però sono molto disponibili al flusso di denaro che passa dalle loro mani e al potere che stabilisce connessioni intense, che non si intravedono ma sono ammalianti per la pratica del potere.
Questo caso lo conferma in pieno: è perfettamente in linea con il caso del primario oncologo di novembre, con quello del tipetto imprenditore di Triggiano di marzo, e via discorrendo. I nomi… mi urtano e danno fastidio come le loro persone.
Sono proprio loro a rappresentare la forma più melliflua di illegalità, non organizzata ma pronta a smontare fino a far svanire il limite del giusto con l’ingiusto. Fino a confondere la normalità del bene con la facilità del male. O, meglio, con quella che, prendendo a prestito il titolo del capolavoro di Hannah Arendt, potremmo definire la “banalità del male”.
Che poi, detto tra noi, per un dirigente della Regione e per il suo bel stipendio, cosa saranno mai una manciata di 30mila euro buttati lì per un appalto? Niente se non una soddisfacente e profonda pratica di potere che alimenta il culto malato del malaffare con cui un’intera classe borghese di Bari deve fare i conti con sé stessa. E davanti allo Stato, una volta per tutte.