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Quei ponti di cui l’Europa ha bisogno

Una volta si diceva che chi nasceva al Sud nascesse con meno opportunità. Era la frase con cui intere generazioni crescevano: “Qui non c’è futuro”. Oggi quella frase, a pensarci bene, potrebbe valere per l’intera Europa. Sì, avete letto bene: l’Europa è il nuovo Sud del mondo. E non è solo una provocazione: è una verità che pochi hanno il coraggio di riconoscere e guardare in faccia.

Eppure i dati parlano chiaro. Entro il 2050 l’Europa perderà milioni di abitanti, mentre l’Africa crescerà di oltre un miliardo. Noi invecchiamo, ci ritiriamo dal lavoro, rinunciamo a fare figli, mentre altrove il mondo corre. La fascia d’età tra i 20 e i 64 anni – quella che lavora, che produce, che regge il sistema – sembra destinata a crollare. Dunque saremo sempre più vecchi, sempre più pochi, e sempre meno competitivi.
Nel frattempo, nel vicino continente africano nasceranno nuove città, nuove economie, nuove potenze. Non ci stiamo solo giocando qualche punto di prodotto interno lordo: ci stiamo giocando la centralità dell’Europa nel mondo. E mentre tutto questo accade, noi stiamo qui a discutere di carne sintetica, di regolamenti, di burocrazia infinita. Siamo talmente concentrati a regolare ogni dettaglio della nostra esistenza che ci stiamo dimenticando di esistere.

Perché il punto non è solo demografico. Il punto è culturale, politico, geopolitico. Il punto è che abbiamo perso la direzione e, se non ci svegliamo, saremo un museo a cielo aperto: bello da visitare, ma morto.
La verità è che l’Europa è nata a Sud. È dal Mediterraneo che sono passate le civiltà, i commerci, le idee. L’Europa non è Berlino. L’Europa non è Bruxelles. L’Europa è Atene, è Napoli, è Marsiglia, è Istanbul, è la Sicilia. È dove i popoli si sono incrociati, non dove si sono chiusi.

E allora dobbiamo ripartire da lì. Da una visione mediterranea dell’Europa. Da una consapevolezza nuova: che il Mediterraneo non è il nostro confine, ma la nostra porta sul mondo.

Serve una rivoluzione. Una rivoluzione fiscale, sociale e culturale. Basta con l’ipocrisia dell’Europa “unita” solo sulla carta. Non si può avere una moneta unica e 27 regimi fiscali diversi. Non si può continuare con i paradisi fiscali dentro l’Unione europea, con Stati che attirano imprese facendo dumping ai danni degli altri. È indispensabile una base fiscale comune, europea. È altrettanto indispensabile un trattamento omogeneo per chi fa impresa. E, infine, sono indispensabili incentivi veri per chi investe nei Sud, non solo nel Sud Italia ma nei Sud di tutta Europa.

Perché oggi i veri Sud non sono più solo quelli geografici. Sono i territori che stanno diventando marginali: aree interne, periferie urbane, città che perdono giovani e futuro. Ed è proprio da questi Sud che può partire un nuovo modo di pensare, di vivere, di decidere.
Io lo chiamo “meriggiare”. Non è fermarsi: è rallentare per capire. È ritrovare il silenzio dentro il rumore, la visione dentro la confusione. Il meriggiare è l’atto rivoluzionario di chi sceglie di osservare, ascoltare, agire con lucidità. È l’arte di non farsi travolgere da ciò che brucia tutto in fretta. E oggi, se vogliamo salvare l’Europa, dobbiamo riprenderci il tempo di… “meriggiarla”.

Bisogna rompere la narrazione tossica che contrappone i Sud ai Nord. Non possiamo accettare che i territori più fragili siano lasciati indietro, con l’alibi dell’efficienza. Non si può parlare di efficienza quando un sistema si svuota di persone progressivamente e inesorabilmente. Non si può parlare di efficienza quando continente che smette di generare vita, progetti, sogni.

La nuova sfida dell’Europa è quella di diventare attrattiva, giovane, vitale. E per farlo non può in alcun modo voltare le spalle al Mediterraneo. Dobbiamo allearci con l’Africa, creare ponti, non muri. Dobbiamo investire in formazione, cultura, infrastrutture, cooperazione vera. L’Africa non è una minaccia: è la più grande occasione del nostro secolo. Quindi delle due l’una: o riscopriamo il Sud – in noi e fuori di noi – o siamo finiti.

Per questo serve una nuova grammatica della politica, che sappia parlare alla pancia, ma anche al cuore e alla testa delle persone. Che dica le cose come stanno non per alimentare inutili allarmismo, ma per costruire visione, coraggio e progetti che mai come oggi sono necessari. L’Europa può ancora risorgere. Ma solo se riparte da Sud. E solo se, a certe latitudini, si ritorna a meriggiare.

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Vincenzo Castellano

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