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Quando i festival musicali diventano modello sano di sviluppo

Sono uno degli organizzatori storici del Medimex. Potrei dire, senza enfasi, “dall’anno meno uno”. Negli anni, ho sviluppato un legame profondo con questa manifestazione, che considero qualcosa di più di un semplice convegno musicale: è una costellazione di incontri, relazioni, scambi. All’inizio, molti dei professionisti coinvolti non avevano mai messo piede in Puglia. Ricordo ancora lo stupore nei loro occhi – arrivavano da tutta Europa, perfino dagli Stati Uniti – di fronte a una regione colma di bellezza, energia, potenzialità. Il Medimex nasce a Bari, poi si trasferisce a Taranto, ma la sua essenza resta legata al lavoro continuo di Puglia Sounds, che ha costruito una rete di festival e tendenze musicali regionali. È grazie a questo impegno che numerosi artisti emergenti pugliesi – e non solo – si sono esibiti davanti a un pubblico di operatori, giornalisti, discografici, giunti appositamente per i convegni. Convegni che ogni anno affrontano temi centrali per il presente della musica. Quest’anno sono qui anche in rappresentanza del Club Tenco per rispondere a un’inquietudine diffusa. Premi, fondazioni, istituzioni ci hanno chiesto: come affrontare una stagione segnata da profonde trasformazioni? Viviamo in una bolla che mostra limiti evidenti: una corsa al gigantismo e alla visibilità estrema che genera distorsioni sistemiche. E come spesso accade, a pagarne il prezzo sono i lavoratori, in particolare i musicisti.

Ieri ho tenuto una lezione per la “24 Ore Business School”, dove sono direttore editoriale per il comparto musica. Il tema erano le etichette indipendenti e le major. Ho sentito però il bisogno di spostare il focus sulle urgenze concrete del settore. Ho raccontato quanto siano preziose le etichette di piccole dimensioni, soprattutto nel Sud, dove stanno nascendo realtà interessanti. Penso alla Music Week siciliana – alla seconda edizione – che, come il Medimex, alimenta un circuito virtuoso.

La struttura del nostro Paese e la concentrazione degli eventi nelle grandi città hanno provocato una progressiva desertificazione musicale. Da tempo auspico la nascita di una rete nazionale di “Music Commission”, sul modello di quelle del cinema, per connettere realtà isolate che rischiano di spegnersi.

Al Medimex la densità degli eventi è tale che seguirli tutti è impossibile: servirebbero cinque corpi e cinque menti. Ma questa abbondanza è una risorsa. È una porta d’accesso per i giovani a un’esperienza autentica. Se ben strutturata, può diventare un motore di sviluppo culturale, sociale, economico. Viviamo una una nazione che custodisce una parte straordinaria del patrimonio artistico mondiale. Abbiamo paesaggi naturali potenti. Con la musica potremmo raccontare tutto questo, come già accade nel cinema e nell’editoria. È più difficile: le complessità burocratiche e logistiche non mancano. Ma sogno un’Italia attraversata da micro-festival e micro-eventi che mettano la musica al centro di un nuovo racconto del territorio. La nostra storia – dall’operetta ai cinque conservatori di Napoli in epoca napoleonica – ci impone un compito: trattare la musica con la dignità che merita.

Oggi, i festival sono in fase di transizione. È un anno che invita a riflettere. L’accelerazione post-pandemica – la corsa agli stadi, agli eventi spettacolari – ha già prodotto le prime vittime. E temo non siano le ultime. Il futuro dipenderà da un intervento pubblico: manca ancora una legge sullo spettacolo che riconosca davvero i diritti dei lavoratori del settore. Serve una riforma che parta dalla sicurezza, snellisca la burocrazia e garantisca sostegni stabili. Serve un sistema, non aiuti occasionali. La musica – più di altre forme culturali – genera lavoro, benessere, valore. È tempo che anche gli artisti si espongano. Ma soprattutto è tempo che le istituzioni, le associazioni, chi governa, offrano risposte credibili.

Tornando al Medimex, gli headliner sono motivo di grande soddisfazione: artisti di livello assoluto. Ma sono molto contento della rassegna ideata da Antonio Diodato all’interno del festival, che ha visto al Castello Aragonese protagoniste tre voci femminili del Mediterraneo, dimostrando sensibilità e una visione forte, ideologica e artistica. La Niña poi, sono certo avrà una carriera importante. L’ho vista in scena l’altra sera: padronanza del palco, personalità, uno spettacolo curato e coinvolgente. Un’artista completa. E in tutto questo, Napoli vive una nuova centralità: il napoletano è diventato quasi una lingua globale.

Vorrei concludere con un aspetto per me fondamentale: quando è autentica e di qualità, la musica ha ruolo educativo. Con Officina Pasolini stiamo lavorando alla realizzazione di libri di testo dedicati alla canzone d’autore italiana, pensati per le scuole medie e superiori. Abbiamo avuto e abbiamo cantautori unici al mondo: da Pino Daniele a Ivano Fossati. Ma se non interveniamo, tra pochi anni perfino molti insegnanti non sapranno più chi fossero.

In questi giorni, ho letto con una certa emozione che “La cura” del mio amico Franco Battiato è stata scelta per la seconda prova della maturità 2025 dell’artistico. Un segnale forte, che ci ricorda quanto la grande canzone d’autore appartenga al patrimonio culturale profondo di questo Paese.

Sono certo che Franco, con il suo sorriso lieve e il suo sguardo ironico, avrebbe apprezzato questa scelta. E si sarebbe divertito.

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