Altro che lo scomodo passato fascista, neofascista o postfascista. Il vero problema della destra italiana e meridionale in particolare, oggi, è il presente con le sue mille incertezze e contraddizioni. E tra queste c’è il Sud che per quell’area politica – complici il caos su autonomia differenziata, reddito di cittadinanza, salario minimo e rimodulazione del Pnrr – si è trasformato in motivo di imbarazzo dopo essere stato, per almeno cinquant’anni, stella polare, bacino di voti e fucina di classe dirigente.
Lo stralcio delle risorse per il Parco della Rinascita di Bari dai fondi del Pnrr non è che l’ultimo tassello di un rapporto divenuto ormai quasi conflittuale.
Dalla destra parlamentare e dal Governo giungono rassicurazioni, si chiarisce che per garantire la necessaria copertura economica si attingerà ad altre fonti di finanziamento e che l’intervento (peraltro già appaltato e aggiudicato) sarà comunque portato a termine. Sull’origine e sui tempi di assegnazione di queste ulteriori risorse, però, è buio fitto. E questo vale non solo per il Parco della Rinascita, ma per tutta una serie di opere strategiche per il rilancio del Mezzogiorno, soprattutto negli ambiti della sanità e della transizione digitale.
È quello che è successo anche a proposito dell’autonomia differenziata: la destra di Giorgia Meloni ha sposato la causa leghista ma, davanti a una sinistra che parla di secessione dei ricchi e paventa il rafforzamento dei divari territoriali, non è stata finora in grado di spiegare se e come, nel Mezzogiorno, il ddl Calderoli potrà migliorare la gestione della cosa pubblica e la vita quotidiana delle persone. Stesso discorso per il reddito di cittadinanza, negato ai tanti percettori meridionali senza aver tempestivamente predisposto i necessari ammortizzatori sociali, e per il salario minimo, per scartare il quale il Governo ha scelto di affidarsi agli esperti del Cnel. Che cosa vuol dire tutto ciò? La destra è in affanno, più che su riforma delle giustizia e dossieraggio illecito, sui temi strategici per il rilancio del Mezzogiorno.
Ecco perché il principale problema della destra, al giorno d’oggi, è il presente e non il passato. Archiviata la faccenda della “presentabilità” e della transizione dal postfascismo al conservatorismo, per molti versi più reazionario che liberale, la destra deve ora sciogliere due nodi, anche e soprattutto in relazione al Mezzogiorno: la qualità e la natura della proposta politica, da una parte; l’impostazione della classe dirigente, dall’altra. Si tratta di una questione ancora più cruciale dopo la morte di Silvio Berlusconi, capace di tenere insieme la natura nazionale e nazionalista della destra ex missina e le pulsioni secessioniste della Lega. In concreto: per il governo Meloni, il Sud dell’Italia deve diventare un hub strategico nel Mediterraneo o più modestamente trasformarsi nel Nord dell’Africa? E la strategia dev’essere quella popolare e armonizzatrice di un pugliese doc come Pinuccio Tatarella, nominato sottosegretario del primo governo Berlusconi a garanzia non solo della tenuta della coalizione ma anche degli interessi del Mezzogiorno, o quella tecnocratica e notabilare del ministro Raffaele Fitto, che con le sue scelte sembra inseguire il consenso dell’élite politico-finanziaria europea anziché risolvere in prima persona o fornire alle Regioni gli strumenti per risolvere i problemi del Sud? Il tema, dunque, non è più da dove viene la destra attualmente al governo, ma dove intende andare. E, soprattutto, in quale direzione intende guidare un Sud che per mezzo secolo è stato sua roccaforte e che adesso sembra soltanto un enorme grattacapo.