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Qualcuno dia voce ai cattolici

Il voto cattolico appare sempre più disperso. A osservare gli eletti in questa tornata elettorale al Parlamento europeo, ma l’osservazione vale anche per le amministrative, si fa fatica, da cattolici, a sentirsi rappresentati. Persino nomi fortemente evocativi, come Marco Tarquinio, ex direttore di “Avvenire”, sono bruciati sulla graticola di un consenso partitico e personale che movimenta blocchi di potere, consociazioni, lobby, tutto meno che le idee e l’opinione. È legittima e necessaria, quindi, una riflessione più attenta sulla presenza organizzata dei cattolici in liste immediatamente riconoscibili.

Ne va dell’identità stessa dei valori del cristianesimo in politica, istituzioni e società. È un processo culturale: più è assente una identità, più ne soffre la cultura che rappresenta. I cattolici devono invertire la rotta. Non si tratta di ricostruire un partito clericale, o confessionale. Ma riflettere su come garantire una visibilità della cultura cristiana, e dell’affidabilità dei candidati circa la loro testimonianza evangelica.

Mancano liste di riferimento come in Germania sono cristiano-democratici e cristiano-sociali. Partiti laici, che affrontano i problemi della società civile contemporanea con senso laico dello Stato, ma radici di valori maturate nel cristianesimo. L’elettorato cattolico è stanco di sentirsi tirare da tutti i lati della giacchetta, come un elettorato verso il quale è necessario porre attenzione, da persone che non saprebbero neanche recitare un Credo, e poi ti escludono nelle decisioni. L’inganno è diffuso nella politica di oggi. Proprio per questo è necessario esserci per sostenere percorsi di verità e bene comune, contribuire, partecipare, rappresentare idee per le scelte che in ogni caso condizioneranno la vita sociale, quella dei più poveri, il futuro delle nuove generazioni e del pianeta.

I cattolici non hanno più voglia di lasciarsi relegare nel limbo del diritto all’obiezione di coscienza. La cultura di un popolo democratico deve saper trovare la sintesi delle divergenze, nell’interesse comune. Tutti i vescovi devono riflettere col popolo cattolico su questi temi, trovare una sintesi. E non dividersi a priori tra schieramenti né restare vagamente neutrali. È tempo di scendere in campo, di colmare la politica di Vangelo, di impegnare fruttuosamente i talenti. Non è una scelta l’astensionismo e l’equidistanza. L’esperienza del civismo può essere percorribile, a patto che le liste non siano lasciate al personalismo, ma siano frutto di un percorso ideale di rinascita di popolo e territorio.

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