È vero, quello che sta accadendo a Bari da qualche settimana a questa parte ricorda molto i fatti del 1992. All’epoca, partendo da Milano, Tangentopoli travolse un’intera classe politica e spianò la strada alla seconda Repubblica. In Puglia è ancora presto per trarre determinate conclusioni, ma una cosa è certa: mentre le inchieste giudiziarie proseguono, l’opinione pubblica deve fare i conti con la peggiore eredità di Tangentopoli.
Una eredità fatta di diritto (e diritti) piegati alle convenienze elettorali, uso politico delle inchieste giudiziarie, tendenza dei partiti a delegare l’indispensabile lavoro di “pulizia interna” alla magistratura e a trarre ricchi dividendi dalle disgrazie dell’alleato o dell’avversario.
Le strategie adottate dai partiti sono la dimostrazione plastica di questa tesi. Partiamo dal Movimento Cinque Stelle. Ieri, a Bari, Giuseppe Conte ha rispolverato un frasario da “vaffa day”, sottolineando la necessità di «fare pulizia» o «tabula rasa» e finendo per invocare addirittura «una disinfestazione» nella Regione Puglia. Troppo imbarazzante, per il leader pentastellato, la passata presenza di Anita Maurodinoia e Alfonsino Pisicchio in due diverse giunte guidate dal governatore Michele Emiliano. Pur essendo avvocato – anzi, l’avvocato del popolo – Conte ha dimenticato che tanto Maurodinoia quanto Pisicchio sono semplicemente indagati. E che di qui alla loro eventuale condanna ce ne corre. E sempre Conte ha dimenticato l’indulgenza che il suo M5s ha riservato a Chiara Appendino, ex sindaca di Torino condannata in appello per i fatti di piazza San Carlo e poi premiata con la “promozione” in Parlamento.
Stesso discorso per il Partito democratico la cui segretaria nazionale Elly Schlein ha chiesto a Emiliano «un netto cambio di fase». E sempre dal Nazareno è trapelata la volontà di espellere non solo Maurodinoia, ma anche i consiglieri regionali Michele Mazzarano e Filippo Caracciolo. Bene, i partiti devono fare pulizia. Ma dovrebbero farlo con cognizione di causa e distinguendo le situazioni. Mazzarano è stato condannato in via definitiva a nove mesi di carcere per un caso di corruzione elettorale e quindi è comprensibile – anzi, doveroso – che un partito che sventola la bandiera berlingueriana della questione morale ne prenda le distanze. Alla fine, comunque, è stato lui a togliere il Pd dall’imbarazzo autosospendendosi. Ma Maurodinoia, come si è detto, è solo indagata. E Caracciolo, che ieri si è dimesso da capogruppo dem in Consiglio regionale, è stato recentemente rinviato a giudizio con l’accusa di aver pilotato l’assegnazione di un appalto a Corato: ipotesi di reato imbarazzante, ma ancora tutta da verificare. E quindi il Pd che fa? Getta due “bambini” (Maurodinoia e Caracciolo), la cui “pulizia” dovrà essere verificata dalla magistratura, insieme con l’acqua che una sentenza della Cassazione ha riconosciuto come “sporca” (Mazzarano).
Quanto alla destra, in Fratelli d’Italia e Lega sembrano essersi risvegliate le più forti pulsioni manettare della stagione di Tangentopoli, quando il deputato Luca Leoni Orsenigo arrivò a sventolare un cappio nell’aula di Montecitorio invocando la forca per i politici indagati. Meloniani e salviniani non perdono occasione per chiedere il pugno di ferro contro gli avversari. E la vicenda della Commissione d’accesso inviata dal Viminale al Comune di Bari ne è l’esempio lampante. Ma è ancora più grave che un partito come Forza Italia, garantista per natura e per vocazione, invochi «misure emergenziali» (parola del vicesegretario cittadino Giuseppe Carrieri) per il capoluogo barese senza che un solo esponente dell’amministrazione comunale in carica sia stato condannato in via definitiva per un reato contro la pubblica amministrazione. Eppure lo stesso centrodestra, in Parlamento, ha legittimamente difeso la ministra Daniela Santanchè, attualmente indagata, dalla mozione di sfiducia presentata dal centrosinistra.
E allora ha scritto bene Tiziana Maiolo su “Il Dubbio”: a Bari il garantismo è morto. E i becchini sono i leader politici, di uno schieramento e dell’altro, che per raccattare una manciata di voti in più alle prossime elezioni alimentano un clima da pogrom al confronto del quale quello dell’epoca di Tangentopoli è una festa da ballo. Verrebbe da chiedere: non hanno insegnato nulla le decine di persone finite sotto inchiesta nel 1992 e poi assolte? Nessuno ricorda il caso di Maria Elena Boschi, massacrata per un’indagine sul padre (poi prosciolto)? E allora certi leader farebbero bene innanzitutto a tacere, così da non cadere in contraddizione, e a fare ciò che di cui non si dimostrarono capaci trent’anni fa: isolare ed espellere le mele marce, senza delegare questo compito alla magistratura o alla canea giustizialista come puntualmente accade in Italia. Ci riusciranno? Le premesse, qui a Bari, non sono incoraggianti.