SEZIONI
SEZIONI
Bari
Sfoglia il giornale di oggiAbbonati

Premiare il merito? Certo, ma bisogna anche smantellare le vecchie barriere culturali

Vi siete mai chiesti perché, nonostante tutti i proclami sulla meritocrazia, il vostro collega “meno meritevole” sembra sempre avere la scrivania più vicina al caffè? O perché, in un mondo che dovrebbe premiare il talento e la passione, ci ritroviamo ancora a navigare in un mare di aspettative sociali che sembrano più rigide di un abito da cerimonia? Se la meritocrazia fosse davvero il motore delle nostre aziende e società, perché allora la strada verso il riconoscimento del valore personale sembra spesso un percorso a ostacoli, fatto di ansie, paure e compromessi?

Nel 2025, i dati parlano chiaro: secondo uno studio condotto dall’Institute for Workplace Happiness, le persone riconosciute per il loro valore all’interno delle aziende sono il 37% più produttive e dichiarano un livello di soddisfazione lavorativa superiore del 42% rispetto a chi si sente “invisibile” o sottovalutato. E non è solo una questione di numeri: la felicità sul lavoro si traduce in creatività, innovazione e una maggiore capacità di affrontare le sfide quotidiane.

Ma allora, perché questa evidenza non si traduce automaticamente in un sistema che premia il merito e la passione? Forse perché il nostro sistema sociale e culturale è ancora intrappolato in schemi che polarizzano i ruoli e le aspettative. Pensateci: quante volte vi siete sentiti dire “devi fare questo lavoro perché è quello giusto per te” o “non è una carriera per chi ha le tue caratteristiche”?

Queste frasi, apparentemente innocue, sono il riflesso di un mondo che ama mettere le persone in scatole predefinite, basate su stereotipi di genere, classe sociale, età o persino provenienza geografica. Non è un caso che, nonostante il progresso, molte professioni restino ancora fortemente “polarizzate” e che la libertà di scegliere seguendo la passione sia spesso un lusso riservato a pochi.

E allora, cosa succede quando la meritocrazia si scontra con queste aspettative sociali? Succede che le ansie e le paure prendono il sopravvento. La paura di non essere all’altezza, di non rientrare nei canoni prestabiliti, di deludere chi ci ha messo su un percorso “sicuro”. Aspettative che diventano catene invisibili, impedendoci di esplorare davvero ciò che ci rende unici. La meritocrazia, in questo contesto, rischia di trasformarsi in un’illusione, un miraggio che si allontana man mano che ci avviciniamo.

La consapevolezza diventa allora la nostra ancora di salvezza. Riconoscere che il valore non è un numero da mettere sul curriculum, ma un mix unico di competenze, entusiasmo e capacità di innovare. E che la felicità sul lavoro non è un lusso, ma una necessità per chi vuole davvero eccellere. Non è un caso che le aziende più lungimiranti del 2025 investano in programmi di riconoscimento personalizzato, perché hanno capito che un dipendente felice è un dipendente che fa la differenza. Questi programmi non si limitano a premiare i risultati, ma valorizzano il percorso, le passioni, le idee, creando ambienti dove il merito può finalmente respirare.

Ma allora, perché continuiamo a vedere così tante storie di talenti soffocati da un sistema che sembra premiare più le conoscenze “giuste” o le relazioni che il vero valore? Forse perché la meritocrazia, così come la immaginiamo, è ancora un concetto incompleto. Non basta riconoscere il merito, bisogna anche smantellare le barriere culturali che impediscono a quel merito di emergere. Serve un cambio di paradigma che metta al centro non solo il risultato, ma la persona nella sua interezza, con le sue passioni, le sue fragilità e le sue ambizioni.

E allora, vi chiedo: siamo davvero pronti a scrollarci di dosso le vecchie logiche e a mettere il merito e la passione al centro? Oppure continueremo a far finta di credere nella meritocrazia mentre, dietro le quinte, si continua a premiare chi sa “giocare il gioco” meglio degli altri? Perché, in fondo, la vera domanda non è chi merita cosa, ma cosa meritiamo noi stessi. E se questo vi sembra troppo, beh, forse è arrivato il momento di cambiare gioco.

ARGOMENTI

barriere culturali
idee
lavoro
meritocrazia

CORRELATI

Bentornato,
accedi al tuo account

Registrati

Tutte le news di Puglia e Basilicata a portata di click!