È un mercato del lavoro a due facce, quello fotografato dall’Istat. Accanto a dati senz’altro incoraggianti, come il forte aumento degli occupati, spiccano risultati meno lusinghieri, come l’aumento dei divari di genere e istruzione. In questi ultimi due casi non si tratta di questioni di poco conto, ma di temi strategici sui quali il governo Meloni farebbe bene ad accelerare sfruttando le risorse del Pnrr.
Nel primo trimestre del 2023 gli occupati sono aumentati di 513mila unità rispetto allo stesso periodo del 2022. Il trimestre gennaio-marzo è l’ottavo consecutivo in cui l’Istat registra un aumento tendenziale dell’occupazione. Ed è così che si è raggiunto il picco di 23 milioni e 250mila occupati, frutto anche del naturale “rimbalzo” dopo la contrazione provocata dal Covid.
In questo scenario complessivo si segnalano elementi particolarmente incoraggianti come la riduzione dei divari territoriali e generazionali. Da una parte, infatti, gli effetti negativi della pandemia sul mercato del lavoro sono stati più marcati al Nord, il che ha favorito una riduzione del gap con il Sud che, tra il primo trimestre 2019 e il primo trimestre 2023, si è ridotto quasi di tre punti; dall’altra, la crescita del tasso di occupazione tra i giovani è stata di 3,4 punti, cioè maggiore di quella tra i 35-49enni e di quella tra i 50-64enni che si sono attestate rispettivamente a +2,8 e a +2,1 punti rispetto al periodo pre-pandemia.
Le note negative, però, non mancano. Basti pensare che la crescita dell’occupazione per gli uomini è stata superiore a quella delle donne, cioè +2,6 contro +2,2 punti, il che ha finito per rafforzare il divario di genere relativo al tasso di occupazione, passato da 17,1 punti del primo trimestre 2019 a 17,5 punti del primo 2023. A essere penalizzate, però, non sono solo le donne, ma tutte le persone con un basso titolo di studio: la crescita tendenziale dell’occupazione è maggiore per laureati e diplomati, per i quali si registrano rispettivamente +1,3 e +1,5 punti, rispetto a chi non è andato oltre la licenza media, fascia per la quale l’occupazione aumenta solo di 0,3 punti. Che cosa vuol dire? Che resta ancora tanto da fare per quanto riguarda il lavoro femminile e la formazione del personale.
Lo strumento per sciogliere questi nodi c’è e si chiama Pnrr. E i temi di cui si è appena parlato rientrano tra i dieci obiettivi per i quali l’Italia ha chiesto una modifica in vista della concessione della quarta rata di fondi (sempre in attesa e nella speranza che l’Europa, nel frattempo, versi la terza). Per consentire alle donne di lavorare sono fondamentali gli asili nido: su questo fronte il Governo si è impegnato a emanare un nuovo bando di selezione degli interventi e ha chiesto che la quarta rata venga assegnata all’Italia dopo l’aggiudicazione non di tutti gli interventi, ma di una prima parte di essi. Quanto alle misure socio-educative, soprattutto in aree depresse come il Sud, Palazzo Chigi propone di emanare avvisi di almeno 50 milioni, superando la formulazione attuale che prevede un importo pari esattamente a 50 milioni, per consentire un migliore utilizzo delle risorse a disposizione. Strategie magari anche condivisibili nel merito, ma che destano più di qualche timore per quanto riguarda i tempi. Su temi strategici come lavoro femminile e formazione bisogna intervenire rapidamente, non c’è più un minuto da perdere. A meno che non si voglia correre il rischio di spaccare il Paese non solo tra Nord e Sud, ma anche tra uomini e donne o tra laureati e non laureati.
Raffaele Tovino – dg Anap