Di buone volontà è pieno l’inferno: questa massima ben rappresenta il pericolo che incombe oggi sull’attuazione del Pnrr. Le buone intenzioni, rappresentate dai grandi obiettivi di modernizzazione del paese, stanno svanendo nelle croniche inefficienze burocratiche e nel difficile contesto congiunturale caratterizzato dalla spinta inflazionistica e dalle incertezze causate dal conflitto russo-ucraino. In questo mutato scenario, il nuovo governo ha manifestato la necessità di “rimodulare” il Pnrr, ma senza dare indicazioni precise sui tempi e sulle modalità. Il governo ha dichiarato che sono stati raggiunti 55 obiettivi del Piano nel secondo semestre 2022, ma il resto del programma attuativo resta ancora nell’ombra. Ricordiamo che il Pnrr ha messo a disposizione del nostro paese 191,5 miliardi di euro, a cui si aggiungono ulteriori 30,6 miliardi di risorse nazionali. Il totale degli investimenti previsti arriva quindi a 222,1 miliardi, a cui si aggiungono 13 miliardi del ReactEU. In dettaglio le risorse sono così ripartite tra le sei missioni: il 22% è dedicato alla digitalizzazione, il 31% al cambiamento climatico, il 28% alle infrastrutture e alla istruzione, il 10 per cento alla coesione e, infine, l’8% alla sanità. Inoltre il Piano destina 82 miliardi al Mezzogiorno, corrispondenti alla quota del 40%. La relazione della Corte dei Conti, pubblicata nel marzo scorso, ci offre il quadro di quanto è stato realizzato fino al dicembre 2022. La spesa sostenuta dalle amministrazioni è stimata in oltre 23 miliardi, circa il 12% delle dimensioni finanziarie complessive del Piano (ma manca ancora il dato relativo alla quota di utilizzo del Superbonus a carico del Pnrr).
Ad esclusione della missione 3 (infrastrutture), con un rapporto tra spesa sostenuta e totale delle risorse del 16,4%, tutte le altre missioni si attestano ben al di sotto del 10% e tre missioni (4, 5 e 6) nemmeno raggiungono la soglia del 5%. Dal punto di vista della ripartizione territoriale, il 39,2% delle risorse è concentrato al Sud (28,6 miliardi), il 29,9% al Nord (21,7 miliardi) e il 15,2% al Centro (11 miliardi). Oltre il 47% delle risorse è impegnato dai comuni per finanziare 53.665 progetti, concentrati prevalentemente al Nord-Ovest (32,5%), con la Lombardia (16,3%) che traina, e a distanza i comuni del Sud (28,1%), tra i quali primeggiano quelli campani con l’8,3% dei progetti. La maggior parte di questi impegni di spesa, gestiti dai comuni, è indirizzato alla transizione ecologica (61 %), alle risorse idriche (20%) e all’istruzione (solo il 7%). Così il 47% delle risorse risulta di fatto polverizzato in progetti locali che sarà molto difficile monitorare nel percorso attuativo. Anche il monitoraggio sullo stato di avanzamento delle opere infrastrutturali prioritarie risulta incompleto perché parte degli interventi sono dispersi sul territorio. Questa componente del Pnrr è particolarmente importante per lo sviluppo del paese e dal dato provvisorio risulta che il 58% dei costi, pari a 67,8 miliardi, riguarda lavori in fase di progettazione, il 20%, 23,8 miliardi, riguarda lavori in corso di esecuzione (soprattutto cantieri ferroviari ed opere idriche) e il 14%, pari a 15,8 miliardi, riguarda lavori in gara per nuovi cantieri ferroviari al Sud. In questo ambito i costi sono lievitati rispetto al 2021 del 26,1%, per l’aumento dei prezzi dei materiali da costruzione, che ha provocato anche l’interruzione del 10% dei procedimenti. Il meccanismo di programmazione degli investimenti è solo in parte (per il 65%) basato su un approccio top down, e lascia il resto dei fondi disperso in molteplici centri di spesa. Un meccanismo che si sta rivelando inadeguato a gestire nei tempi stabiliti (entro il 2026) le ingenti risorse del PNRR che solo una struttura di programmazione centralizzata poteva efficientemente monitorare nello stato attuativo. Il governo Draghi aveva predisposto meccanismi di raccordo centrale (la Cabina di Regia, il sistema ReGiS come strumento di supporto al monitoraggio, che pare non funzioni al momento in modo adeguato, almeno così denunciano i sindaci) e il governo Meloni ha istituito l’Ispettorato generale per il Pnrr, ma per il momento un’azione incisiva di monitoraggio e di trasparenza sui dispersi rivoli di spesa non si è vista. La strategia rinunciataria emersa in questi giorni in alcuni settori della maggioranza, sostenuta da alcuni autorevoli economisti, ci porterebbe al paradosso di rispedire al mittente parte dei fondi assolutamente necessari per la modernizzare il paese (secondo stime il 30% delle risorse). Tale prospettiva segnerebbe davvero il fallimento della classe dirigente nazionale, per evitarlo occorre attivare gli strumenti di coordinamento centrale e rafforzare i poteri sostituitivi (già previsti) in caso di mancato rispetto degli impegni di attuazione del Pnrr.
Rosario Patalano è economista