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Tempi duri per il Mezzogiorno: Pnrr e Zes Unica? Utili ma rischiano di non bastare

La Svimez non manca di aggiornarci sullo stato di salute (si fa per dire, salute) della nostra economia dualistica con il rapporto sulle prospettive di crescita delle diverse regioni italiane per il biennio 2025-2026.

Il dato di sintesi è che la difficile situazione congiunturale internazionale, e l’incertezza che ne deriva, consentirà una lieve crescita solo alle regioni che hanno una solida e ampia base produttiva manifatturiera (Emilia-Romagna, Veneto, Lombardia e Toscana) e, come è noto, l’industria italiana è per due terzi collocata nelle regioni del Nord, occupando il 64% degli addetti nel settore, quota che sale al 68% se si considera il peso sul valore aggiunto e sarà in grado di catturare gli stimoli provenienti dalla domanda interna, anch’essa diversificata su base regionale. Infatti la tenue variazione di domanda favorirà nettamente le regioni del Centro-Nord per due ragioni: la riforma fiscale che, salvaguardando il potere d’acquisto dei redditi medi dei lavoratori occupati, avvantaggerà le regioni oltre la linea del Volturno, mentre abolendo il reddito di cittadinanza ha eliminato il sostegno alle fasce di reddito più deboli, concentrate nelle regioni meridionali; la domanda interna addizionale proveniente dai non residenti attratti dal Giubileo e dai Giochi olimpici invernali si concentrerà prevalentemente in Lazio e in Lombardia e Trentino Aldo-Adige.

Nel nuovo contesto internazionale, il capitalismo industriale italiano accentuerà le sue tendenze di concentrazione territoriale, seguendo la tendenza, ormai consolidata anche dalle politiche economiche, ad abbandonare le catene di produzione globale, alimentando il fenomeno del reshoring (il rientro in patria di attività collocate all’estero). La fase di ristrutturazione industriale in corso favorirà, quindi, i territori che hanno un apparato produttivo composto da aziende medio-grandi, operanti in mercati oligopolistici, che controllano le catene del valore e possono sfruttare i vantaggi delle sinergie tipiche del distretto industriale, stabilendo nuove relazioni di produzione con aziende contigue dal punto di vista geografico. La crisi della globalizzazione, come prevede la Svimez, potrebbe dunque restituire centralità al modello produttivo fondato sul distretto industriale e quindi avvantaggiare i territori del Centro-Nord.

Non è escluso che il processo di reshoring possa provocare una nuova fase di deindustrializzazione delle regioni meridionali, trascinata anche dalla crisi della produzione dell’automotive. Nel Mezzogiorno è ora concentrato l’85% della produzione di veicoli, con quasi mezzo milione di addetti, concentrati negli stabilimenti localizzati nell’area della Val di Sangro, a Melfi, a Pomigliano d’Arco e a Isernia. E le cifre fanno tremare: tra 2019 e 2022 la produzione di autoveicoli è diminuita del 7,9% e nel solo anno 2023-2024 si è ridotta del 15,7%; ancora più drastico nello stesso anno, la riduzione della produzione di altri mezzi di trasporto, crollata del 24,7 %. Basilicata e Campania le regioni più colpite. La crisi della metallurgia ha colpito poi la Puglia con una riduzione della produzione, nel periodo 2023-2024, del 7,7%.

Anche i settori industriali tradizionali sono in crisi, in particolare la produzione di pelletteria ha ceduto in un solo anno il 23,4% del suo fatturato, colpendo in particolare Campania e Puglia. Sarà poi fortemente ridimensionato il volano della domanda estera, di cui hanno beneficiato negli ultimi anni le regioni meridionali più dinamiche, per effetto della politica daziaria promessa dalla nuova amministrazione Trump. L’unico sostegno che serve a tamponare una situazione che si sta evolvendo in senso negativo per il Mezzogiorno è dato dagli investimenti del Pnrr, i cui benefici sono evidenziati dalla crescita degli investimenti pubblici in costruzioni, che nel 2024 è stata pari a +2,3%, mentre nel Centro Nord è giunta ad un più modesto +0,8%. Un andamento positivo che compensa la drastica riduzione degli investimenti privati dovuti all’abrogazione del Superbonus.

Al Mezzogiorno gioverà anche la proroga del credito d’imposta per gli investimenti realizzati entro il 15 novembre 2025 nella Zes unica, che prevede un tetto di spesa complessivo di 2,2 miliardi di euro. Ma si tratta di medicine che attenuano i sintomi, ma non curano la malattia che ha fondamento strutturale.

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