Se i carabinieri decidessero di incrociare le braccia in modo così clamoroso e aggressivo, il dibattito politico sarebbe esplosivo. Ma quando sono i magistrati a proclamare uno sciopero, come quello di qualche giorno fa contro il Parlamento e la separazione delle carriere tra giudici e pubblici ministeri, la situazione assume toni grotteschi, quasi come se i forconi avessero indossato le toghe. Il Primo Maggio delle toghe si presenta come un evento esclusivamente italiano, in netto contrasto con le norme di altri Paesi come il Regno Unito e la Germania, dove tali scioperi non sono permessi.
Questa manifestazione di dissenso è un chiaro rifiuto della riforma proposta dal Parlamento e quindi dal popolo italiano e dal ministro Carlo Nordio, finalizzata a modernizzare il sistema giudiziario italiano, portandolo al passo con le democrazie occidentali. Si tratta di un sistema processuale accusatorio, in cui accusa e difesa si confrontano davanti a un giudice imparziale. Tuttavia, i sindacalisti in toga, con la coccarda tricolore e la Costituzione in mano, non dicono che, in molte nazioni democratiche, il pubblico ministero è soltanto una parte del processo, dunque distinto dal giudice che rimane l’unico arbitro.
Si continua a difendere un’anomalia italiana, ignorando l’articolo 111 della Costituzione introdotto nell’ormai lontano 1999, che richiede un “giudice terzo”, la cui attuazione richiede la separazione delle carriere. Accusano il Governo di voler controllare la pubblica accusa, ma questa è una menzogna manifesta, facilmente smontabile leggendo il nuovo articolo 104 che chiarisce il contrario. In un clima di sfiducia, si diffondono sospetti infondati, come se il Parlamento dovesse temere un futuro controllo.
In questo scenario, si rincorrono a stratagemmi per aumentare le adesioni, consentendo a chi è retribuito di dichiararsi scioperante. Tuttavia, la realtà resta complessa e il futuro della giustizia italiana appare incerto, intriso di profonde polemiche e aspre divisioni.