Più informazioni sulle carceri

È raro che un giornale dedichi due intere pagine alla visita in un istituto penitenziario. È tanto raro, quanto giusto. L’iniziativa di “L’Edicola del Sud”, che nel numero di ieri ha raccontato cosa avviene nella Casa Circondariale di Bari, è opera meritoria che dovrebbe essere replicata da altre testate che, invece, ignorano le problematiche relative all’esecuzione penale e i drammi che affliggono le persone detenute. Eppure suscitare l’interesse del lettore sui luoghi di detenzione dovrebbe essere naturale, in quanto il carcere altro non è che un’ istituzione pubblica che ha precise finalità: punire, ma allo stesso tempo “rieducare”, per il reinserimento sociale del condannato. Come i cittadini vengono informati dello stato degli ospedali e delle scuole, importanti per le cure mediche e l’istruzione, così dovrebbe accadere per gli istituti penitenziari. L’assenza d’informazioni favorisce il disinteresse verso il mondo dell’esecuzione penale, che è dimenticato o addirittura ignorato.

Eppure se ci si lamenta dell’aumento della criminalità e, nelle grandi città, di quella predatoria, sarebbe opportuno che l’opinione pubblica avesse maggiore interesse per il trattamento riservato ai condannati. Si dovrebbe preoccupare se la pena non avesse anche una funzione di recupero del soggetto, ma fosse esclusivamente afflittiva e addirittura – come avviene in molti casi – scontata senza il rispetto delle norme in materia. Il detenuto, pur condannato ad una pena severa, un giorno uscirà dal carcere e l’interesse comune dovrebbe essere quello di restituirlo migliore alla vita sociale. Alcuni anni fa, l’Unione Camere Penali con il suo Osservatorio Carcere, si fece promotore dell’inziativa “Carceri porte aperte”, al fine di far conoscere la realtà detentiva ai cittadini. Si prenotarono in tanti e il numero indicato, quale limite possibile, fu subito raggiunto. Dall’iniziale curiosità per un mondo sconosciuto, i visitatori compresero che quelle mura appartenevano alla città e che all’interno vi erano persone che andavano assistite e seguite e che, purtroppo, spesso vivevano nel deleterio ozio. Far conoscere il carcere, promuovere iniziative affinché l’opinione pubblica provi reale interesse per quanto accade negli istituti penitenziari ha una duplice importanza. Da un lato si fa comprendere ai cittadini qual è il senso della pena, dall’altro i detenuti si sentiranno meno abbandonati dalla comunità e potranno, con maggiore impegno, intraprendere la strada verso il necessario recupero. Bene, dunque, ha fatto “L’Edicola del Sud” a scrivere della Casa Circondariale di Bari. Una struttura del 1920 che attualmente ospita 431 detenuti, a fronte di una capienza regolamentare di 299 persone. Già questi dati rappresentano una realtà problematica, con cui la direzione del carcere deve fare i conti. Emerge dagli articoli che vi sono molti detenuti con patologie fisiche e psichiche, per i quali non vi è possibilità di una collocazione adeguata e, spesso, restano in stanza con altri. Il lettore comprende che è necessario un immediato intervento e che non è possibile abbandonare detenuti e personale dell’amministrazione penitenziaria in una situazione illegale, che non tiene conto dei principi costituzionali, delle norme dell’Ordinamento Penitenziario e delle stesse direttive europee. Articoli del genere sono, pertanto, utili perché ricordano alle persone libere che esiste un regime penitenziario che va sostenuto, nell’interesse di tutti. Migliorare la qualità della vita in carcere, seguendo la strada già tracciata dal Legislastore, migliorerà anche la vita delle persone libere.

Solo la presa di coscienza di quanto sia drammatica ed ingiusta la vita all’interno del carcere, potrà smuovere una politica inerte, che non interviene perché preferisce la scorciatoia populista di non concedere nulla ai condannati, neanche i loro diritti.

Riccardo Polidoro è avvocato-Responsabile Osservatorio Carcere Unione Camere Penali Italiane

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