Crescere un figlio è un’esperienza straordinaria. Ma è anche molto costoso. Secondo uno studio dell’Università di Verona, rilanciato nei giorni scorsi dal Forum delle associazioni familiari, il solo costo di mantenimento di bambino tra gli 0 e i 5 anni è di 530 euro al mese, che scende a 390 se il figlio ha tra i 6 ed i 18 anni. Dati che si riferiscono ai soli beni essenziali: gli alimenti, i vestiti, la casa. Destinati a crescere in modo esorbitante – fino a 1.100 euro mensili – se a questi beni si sommano le spese per l’istruzione, lo sport e le attività culturali.
Cifre cresciute inesorabilmente nell’ultimo anno dove anche i costi alimentari sono schizzati. Sta un po’ in queste cifre, forse, la paura di molte coppie di mettere al mondo uno o più figli.
Oggi la nascita di un figlio – lo certifica l’Istat nel suo report annuale sulle povertà – è una delle maggiori cause di povertà in Italia. Povertà relativa od assoluta che cresce, inesorabilmente, al crescere del numero dei figli. Si spiega così che le famiglie numerose sono, in assoluto, le più povere. E che la loro presenza si sta riducendo al ruolo di razza in via di estinzione: oggi i nuclei composti da almeno sei componenti sono circa 330mila.
Pensate. Negli anni Sessanta dello scorso secolo erano tre milioni. Eurostat ci dice che l’Italia è il paese con la minor percentuale di famiglie numerose in Europa. Tanto per fare un esempio, in Italia le famiglie con tre e più figli rappresentano il 7.4% del totale delle coppie con figli, contro il 15.1% della Francia. E i figli nati nelle famiglie numerose rappresentano il 15.35% del totale, contro il 29.82% della Francia. Francia che ha un indice di fertilità di 1,8 figli per donna, contro l’1,25 dell’Italia.E con 1,25 figli per ogni donna in età fertile non è garantito il ricambio generazionale. La popolazione invecchia sempre di più. E il sistema del welfare inevitabilmente rischia di frantumarsi. Una domanda su tutte: chi pagherà domani le nostre pensioni, se non ci saranno sufficienti giovani per lavorare? E chi si occuperà di noi anziani?
Nella nostra cultura la scelta di una coppia di mettere o non mettere al mondo un figlio è «ridotta» a scelta privata. E questa concezione sta alla base del processo di denatalità che dagli anni Ottanta ad oggi ha caratterizzato il nostro paese, ma che entro la fine del secolo interesserà tutto il mondo, ad eccezione della sola Africa. È vero: è soprattutto scelta privata. Ma è anche orientata al bene comune, come ormai anche molti economisti stanno riconoscendo. Eppure molte indagini sociologiche ci dicono che la stragrande maggioranza dei giovani aspira a far famiglia e a mettere al mondo due o tre figli. Le stesse indagini che, ripetute negli anni, portano invece alla conclusione che dai «desiderata» ai fatti la coppia, quando si forma, decide di non avere figli. E se si decide lo fa ad un’età adulta, oltre i 32 anni, per cui poi è anche difficile programmare un secondo o un terzo figlio. Possiamo ancora uscirne? Forse sì. Se investiamo con coraggio nelle politiche familiari. Politiche capaci di assecondare le diverse fasi della vita del giovane e della coppia, fino all’età adulta. Quanto alle famiglie numerose, proprio perché sono numericamente poche, gli interventi a loro favore hanno un costo limitato per lo Stato. Ma rappresenterebbero un importante cambio di passo culturale, soprattutto se riuscissero a modificare lo status delle nostre famiglie da Cenerentola a Principessa delle famiglie.
Andrea Bernardini – Associazione nazionale famiglie numerose
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