Apprendiamo, con grande stupore, alcune dichiarazioni rese alla stampa dal dg dell’Asl di Lecce Stefano Rossi. In esse si afferma – a proposito delle carenze degli organici medici – che «bisognerebbe ragionare sull’ampliamento del novero delle competenze dei professionisti sanitari non medici, più facilmente reperibili sul mercato. Stiamo elaborando un progetto per l’attivazione di un reparto a gestione infermieristica per la presa in carico di pazienti». Se vi sono pochi medici, la soluzione appare semplice: possono essere sostituiti da un “surrogato medico” più facilmente reperibile, meno impegnativo dal punto di vista economico. Eppure, secondo la Commissione europea e il Centro di ricerca economica applicata in sanità (Crea), la carenza dei medici in Italia è di 30mila unità, ma quella degli infermieri professionali raggiunge le 250mila. Quando ci si renderà conto di ciò, qualcuno progetterà reparti gestiti da oss? Oggi manca un numero adeguato di infermieri negli ospedali e la qualità dell’assistenza erogata è sempre più bassa; anche la presenza degli infermieri è insufficiente. E Rossi pensa di far fronte alla mancanza di medici con gli infermieri?
Siamo convinti che più che avventurarsi in fantasiosi progetti (che non forniscono risposte alla qualità della cura ricercata dal cittadino), sarebbe meglio impegnarsi per rendere attrattive la professione del medico e quella dell’infermiere. Sarebbe meglio potenziare il numero di questi professionisti da formare sulla scorta di un’idonea programmazione, a cui il dg sicuramente può contribuire. La cattiva programmazione ha prodotto questa disastrosa carenza e conseguentemente la non ottimale assistenza ai cittadini.
Il ruolo di chi amministra e gestisce la sanità non può essere semplicemente quello di ottenere un consenso acritico e immotivato. Oggi la crisi del sistema sanitario nel nostro territorio è determinata da una carenza drammatica degli organici, dall’organizzazione sanitaria (estremamente burocratizzata) e dalle richieste spesso ipertrofiche e inadeguate dei cittadini. Tali considerazioni possono fornire una spiegazione al problema delle liste d’attesa, delle aggressioni al personale sanitario, del disagio che viviamo ogni giorno nei pronto soccorso, nei reparti di emergenza, nelle sale operatorie, negli ambulatori medici, trasformando la sanità in una “fabbrica di scontenti”. Si dà atto alle Direzioni strategiche aziendali di voler superare tante difficoltà, ma certamente l’urgenza e la responsabilità dei problemi induce a soluzioni che spesso lasciano perplessi.
Tra pochi giorni i dg dovranno fornire i piani di rientro per le liste d’attesa, ma non si può pensare che tutto debba gravare sui medici e il personale sanitario. Il prolungamento dell’orario di servizio determina spesso una risposta sanitaria scarsa in termini di efficacia, ma sempre uno sconvolgimento della vita sociale e affettiva del medico. In questi termini proporre “orari aggiuntivi” festivi o notturni non può risolvere il problema delle attese. Bisogna anche pensare a un sistema ospedaliero e territoriale articolato e in sintonia; è necessario agire insieme con ruoli diversi, sviluppando le straordinarie energie presenti in periferia, come negli hub. È altrettanto evidente che il cittadino non può avere immediate risposte a richieste incongrue, spesso non indotte dal medico né da raccomandazioni condivise. Il medico con il personale sanitario è sempre pronto e disponibile a un rapporto di solidarietà e una presa in cura del cittadino fragile, ma non può e non deve venir meno al rispetto di se stesso, dei suoi diritti, della sua vita. Se il medico ha dimostrato con le sue competenze, capacità, esperienza e umanità di essere fondamentale, come nella pandemia, nel garantire cura e benessere, deve rivendicare un ruolo centrale nella società, né può essere sostituito o surrogato da altre professioni, peraltro importantissime, con le quali condivide il lavoro.
I cittadini devono essere garantiti da una adeguata qualità di assistenza sanitaria che può essere erogata solo da un incremento delle risorse destinate alla salute, da una contrattualizzazione degli specializzandi, che devono avere nella situazione attuale emergenziale un percorso formativo diverso e più attinente alle necessità degli assistiti, oltre che degli specializzandi stessi. Le risposte degenerate di aggressività, di richieste ingiustificate e diffuse di risarcimento sono il segnale di un disagio dei cittadini, che spesso diventa poi migrazione sanitaria verso situazioni più attrattive, ma che spingono verso il decadimento incontrollato del nostro sistema pubblico, nel quale crediamo ancora, con forza.
Donato De Giorgi è segretario provinciale di Ussmo Lecce