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Per il Mezzogiorno più servizi o meno tasse: non c’è altra scelta

Di fronte ai grandi dibattiti sui salari, sull’inflazione, sui bonus, su come aiutare chi ha di meno, c’è un tema che nessuno ha il coraggio di affrontare fino in fondo. Un tema scomodo, che rischia di ribaltare molti luoghi comuni: vivere al Sud, oggi, è diventato un costo extra. E non mi riferisco al prezzo del pane o della benzina. Parlo del peso reale che grava ogni giorno sulle spalle di chi, per scelta o per radici, vive in una parte d’Italia che continua a fare più fatica.

C’è una verità che conosce bene chi lavora e manda avanti una famiglia in una piccola città meridionale: paghi le stesse tasse, ma ricevi meno servizi. Hai gli stessi obblighi, ma meno opportunità. Ti si chiede tutto, ma si restituisce poco.

Per questo, anche se il costo della vita è teoricamente più basso, la vita al Sud pesa di più. Perché ogni cosa che altrove è semplice, qui diventa complicata.

Perché la burocrazia è più lenta, i trasporti sono più fragili, le occasioni sono meno. E se vuoi qualcosa di meglio – un asilo, una scuola di qualità, una cura rapida – spesso devi andare altrove. O pagarla di tasca tua.

Chi lavora al Sud, soprattutto in autonomia, spesso ha lo stesso identico carico fiscale di chi lavora a Milano o Bologna, ma senza avere intorno la stessa infrastruttura di sostegno. Un sistema sanitario che arranca. Una rete pubblica poco accessibile. Un digitale ancora fragile. Un’impresa al Sud può avere la stessa tassazione, ma affronta problemi che al Nord sono già stati superati da decenni. Questo è il cuore del problema. Non è questione di assistenzialismo, ma di equità.

Se il tuo Comune ha meno mezzi, se l’Azienda sanitaria locale è più indietro, se le strade sono colabrodo, se l’energia elettrica salta quando piove, se per una pratica devi aspettare mesi… allora tu, cittadino, non stai vivendo le stesse condizioni di uno che vive a cento chilometri da te. Eppure, paghi lo stesso. A volte, anche di più.

Chi resta al Sud oggi è un resistente. Un costruttore di futuro. E andrebbe trattato come tale. Andrebbe premiato, non solo retoricamente, ma concretamente.

Con politiche fiscali che riconoscano questo squilibrio. Con un’imposizione più leggera per chi lavora e produce in territori svantaggiati. Con strumenti concreti – anche temporanei, ma incisivi – per creare un riequilibrio reale tra cittadini che oggi vivono due Italie diverse.

Se davvero crediamo che il Sud non sia una zavorra, ma una leva strategica per il rilancio dell’Italia, allora non possiamo più ignorare il fatto che esiste una tassazione formalmente uguale, ma sostanzialmente iniqua. Servono strumenti nuovi. Non è una rivoluzione, è solo buon senso.

Una flat tax territoriale per chi vive e lavora nel Mezzogiorno potrebbe essere un primo passo. Un segnale forte, concreto, per dire: noi ci siamo, riconosciamo la fatica in più che fai ogni giorno, e vogliamo alleggerirla.

E no, non sarebbe una misura per dividere. Sarebbe l’unico modo per ricucire. Perché chi vive nelle retrovie, spesso, corre più degli altri. Ma nessuno lo vede. Dovremmo iniziare a vederlo. E forse, a premiarlo. Non con le medaglie. Ma con strumenti reali.

Io la penso così. Da cittadino. Da padre. Da uomo del Sud. E forse non sono il solo.

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