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Per il carcere cervello e non muscoli

La notizia non sta passando inosservata: si tratta del nuovo calendario 2025 della polizia penitenziaria italiana. Un patinatissimo calendario in cui si avvicendano foto di agenti in tenuta d’attacco con tanto di manovre di blocco, pistole e scudi antisommossa.

Una polizia tirata a lucido che mostra la sua efficienza: fin qui ci può stare, considerato il ruolo di controllo e ordine che essa è chiamato a svolgere. Ma un dato mi suona strano: nelle carceri italiane quest’anno si sono tolte la vita 86 persone.

Il sottoscritto ha tenuto laboratori in carcere, conosciuto volti da ricostruire, sentito il loro bisogno di inclusione, ascoltato l’urlo silente di vite massacranti e massacrate. Che non significa legittimare tutto e dimenticare reati di ogni tipo in nome di un buonismo idiota.

Però avrei preferito che un calendario del genere raccontasse di una polizia penitenziaria che nelle case circondariali aiuta il progetto di rieducazione attraverso percorsi di reinserimento, laboratori, attività artigianali. Specie in presenza di direzioni illuminate tante carceri non sono un luogo di rifiuto sociale, ma di recupero, prevenzione e quasi annullamento di devianza e disagio. Un Paese che si affretta a presentarsi civile non ha bisogno di mostrare i muscoli: usa il cervello, ci mette la faccia, scommette sulle persone.

Non ricorre a stereotipi passati, non esalta la forza fine a se stessa. Si presenta intelligente e capace di ricostruire. Tutto e tutti. Anche passando da un oggetto inerme come un calendario che, affisso in carcere, dica ad ogni ospite che può cambiare, in nome di una forza come la polizia che, lungi dall’essere repressiva, lavora e agisce insieme a tutte le forze buone della società.

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