Parità di genere, il G7 è finito: passiamo dalle parole ai fatti

Il G7 delle donne era veramente necessario? Ma ne vale la pena continuare a parlare di questioni di genere al femminile? Non stiamo esagerando, visto che oggi tutte le persone possono fare e dire ciò che vogliono? La risposta è una ed è sì, assolutamente sì.

I dati ci riportano a livello mondiale un’arretratezza nella partecipazione delle donne al lavoro, soprattutto a livelli apicali, che va di pari passo con il decremento demografico, oltre che un’escalation di violenze e femminicidi. Quindi, a Matera ciò che è emerso è la necessità di un impegno, non solo da parte dei ministri ma di tutte le associazioni, partner, aziende, persone che possono davvero dare un esempio tangibile del cambio di mindset necessario.

Se i focus dei lavori del G7, confluiti nel documento finale, sono stati fondamentalmente su come favorire l’empowerment e contrastare la violenza, non è mancata anche negli incontri avvenuti parallelamente, come quelli del B7 e di Fortune, la necessità di promuovere conoscenza e consapevolezza dell’uso di tecnologie e nuovi approcci al lavoro che non significhino far venire meno l’umanità, ma che aprano a possibilità di crescita e sviluppo.

Le donne continuano ad avere difficoltà nella conciliazione tra i tempi di vita e lavoro, avendo la responsabilità, vista anche la cultura che continua a vederle legate anche ad aspetti di cura e famiglia, di dover provvedere ai bisogni dei figli, della casa, dei genitori e, in ultimo, di sé stesse e delle proprie ambizioni. La mancanza di strutture a supporto, che possano andare a colmare la difficoltà di gestione e organizzazione, la flessibilità del lavoro, la differenza sostanziale in termini di giorni per i permessi da parte dei padri e il gender gap che vede sempre le donne con retribuzioni inferiori porta, inevitabilmente, a fare delle scelte diverse dalla carriera. Ed ecco che gli ambienti di lavoro possono diventare i luoghi della differenza con politiche di welfare maggiori, incentivi alla paternità e alla maternità, una conciliazione seria che tenga conto delle esigenze delle donne e non solo.

Lo scenario che è stato presentato al W7 è quello di un mondo delle donne che sentono sia arrivato il momento giusto per fare realmente rete, per sostenersi e promuovere iniziative che non siano viste come singoli step ma come un percorso di affiancamento e supporto da ogni parte. La parità nello sport, forse l’intervento sottoscritto più innovativo, come momento chiave per un riconoscimento equo che veda l’impegno e i risultati non su due piani diversi. L’impegno a ribadire con forza no alla violenza sulle donne, alla tratta delle donne, alla riduzione in schiavitù e privazione di libertà come in molti paesi sta avvenendo (Afghanistan, Iran, India solo alcuni esempi), agli stupri di guerra esibiti poi come trofei, ha rappresentato una voce unanime, un indirizzo chiaro per i governanti di tutti i paesi a intervenire e non abbassare la guardia o fare finta di nulla.

Cambierà qualcosa? Credo che non sarà facile passare dalle parole, seppur scritte in un documento ratificato e sottoscritto, al cambiamento in tempi brevi. C’è una crescente resistenza a voler vedere e intervenire attivamente nelle “questioni femminili” favorita da una cecità diffusa che sta cercando di essere superata con la certificazione di parità di genere ai sensi dell’Uni Pdr 125/2022 da parte delle aziende. Ma tra le 5mila certificate, dato riportato dalla ministra Eugenia Roccella, quante hanno davvero cambiato la propria cultura? Quante hanno preso la certificazione perché interessate a promuovere un ambiente di lavoro inclusivo? Quante, invece, lo hanno fatto per sgravi fiscali e possibilità di finanziamenti collegati? Sarà compito delle consigliere di parità, che sono intervenute all’incontro promosso da Fortune, oltre che degli enti di certificazione, controllare e vigilare. Anche revocare, perché no, le aziende certificate per “caso”.

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