Tra tensioni sempre più gravi e una crescente fragilità del linguaggio politico che attraversano il mondo, la voce morale può ancora avere un peso? Abbiamo immaginato una lettera che il Papa indirizzerebbe a Trump, figura centrale nel dibattito pubblico e geopolitico mondiale: una lettera che immagina un dialogo tra due mondi spesso distanti: quello della fede, dell’anima, e quello del potere e della strategia. Nel gioco dell’immaginazione, papa Leone XIV non parla solo al singolo uomo, ma alla coscienza di chiunque detenga un ruolo-guida, ovunque si trovi. Perché la pace, la vera pace, ha bisogno non solo di alleanze, ma di conversioni interiori, di visioni più alte, di parole che disarmano più e prima ancora delle armi. La nostra ipotetica lettera, in definitiva, potrebbe essere letta anche come una preghiera: la preghiera di un cittadino del mondo, in cammino tra le molte ombre e le poche luci del nostro tempo.
“Signor presidente Donald J. Trump,
nel momento in cui Lei sta vivendo una fase così importante della Sua leadership, desidero rivolgerle, pubblicamente, fraternamente una parola di riflessione e di speranza. Le scrivo non solo come vescovo di Roma e papa della Chiesa cattolica, ma come uomo che guarda con fede e preoccupazione alle sorti del mondo intero, come uomo che, come Lei, porta nel cuore l’America, terra di libertà, di sogni, di promesse. La Chiesa cattolica sente più che mai la chiamata a promuovere la pace, nel rispetto della dignità di ogni popolo e nel servizio della giustizia. Le nostre strade sono diverse, ma forse non così distanti: entrambi siamo chiamati a custodire la dignità dell’uomo e a difendere la vita, ovunque essa sia minacciata.
Lei ha conosciuto la forza delle folle, ma anche la solitudine delle decisioni difficili. Oggi, più che mai, chi guida una grande nazione è chiamato non solo a proteggere, ma a ispirare e servire; non solo a rispondere al presente, ma a preparare un futuro in cui la parola “guerra” sia per sempre archiviata nei libri di storia, e la parola “pace” sia scritta nel cuore degli uomini.
Lei porta sulle sue spalle il peso del potere, ma anche l’invisibile, più gravoso, peso dell’esempio. La vera grandezza non si misura solo dai risultati o dalla forza, bensì dal coraggio di scegliere ciò che è giusto, anche quando è difficile, dal saper chinare il capo davanti alla sofferenza umana e alzare lo sguardo verso più alti ideali. Ogni leadership, specie quando esercitata da una nazione tanto influente, reca con sé la possibilità di orientare le sorti non solo di un popolo, ma dell’intera famiglia umana. Sono certo che Ella può svolgere un ruolo capitale nell’edificazione di quella “casa comune” in cui le nazioni convivano in armonia.
Ho appreso con vivo interesse la notizia di una sua prossima visita alla Santa Sede e desidero rivolgermi a Lei per esprimerle la mia piena e fraterna disponibilità a incontrarla, così come gli altri leader delle nazioni, nelle sacre sedi della diplomazia e del dialogo. In un tempo in cui i cuori degli uomini sono turbati da timori di conflitto e da rinnovate tensioni, sarà un’occasione preziosa per incontrarci, per dialogare, per confrontare visioni e responsabilità. Il nostro incontro potrà essere anche un segno, per il mondo intero, di quanto il dialogo sia oggi necessario, urgente, generativo di speranza. Mi permetto, altresì, di suggerire un incontro, magari in forma multilaterale, affinché, a partire da un confronto franco e aperto, possano germogliare protocolli concreti di collaborazione che tutelino la vita umana in ogni sua fase e ne garantiscano la dignità.
Nel frattempo, sento il dovere, prima ancora del privilegio, di inviarLe questo messaggio aperto, nel nome della pace, del rispetto tra i popoli, della sacralità della vita umana.
Viviamo un tempo drammatico. Guerre vecchie e nuove infiammano il pianeta, dal cuore dell’Europa al Medio Oriente, dall’Africa ai mari del Sud-est asiatico. Il grido dei poveri, degli sfollati, degli innocenti travolti dal fuoco incrociato, ci interroga. Ai conflitti armati si aggiungono oggi forme sottili e pervasive di violenza: quella delle parole che dividono, delle tecnologie che controllano, di un ambiente devastato che diventa ostile ai suoi stessi abitanti. La pace non può più attendere. Non può essere solo un auspicio, deve diventare una priorità politica e morale, per tutti.
Le parlo da pastore, ma anche da uomo del nostro tempo; Le dico, con franchezza e rispetto: il mondo ha bisogno di leader che non alimentino i conflitti, ma li disinneschino; di potenze che non si contendano il dominio, ma collaborino per la giustizia; di nazioni che, forti della loro storia e delle loro risorse, si mettano al servizio di chi soffre, non di logiche di esclusione o prevaricazione. Il mondo ricorda con gratitudine quei leader che, nella prova, seppero unire fermezza e compassione, come chi costruisce ponti anziché muri, come chi riconosce nell’altro non un nemico, ma un fratello.
La invito, Signor Presidente, a fare della Sua voce una voce di pace, non solo nei toni, ma nelle scelte. La sicurezza non può esistere senza giustizia. Il futuro non si costruisce con la paura degli altri, ma con la fiducia nella possibilità di cambiare insieme. La Sua autorità morale e politica, unita al Suo senso di responsabilità verso il bene dell’umanità, costituisce un seme di speranza per chi ancora anela a giorni più sereni.
Ci sono oggi questioni urgenti che interpellano la Sua coscienza e quella di ogni uomo di governo: i milioni di profughi e migranti che fuggono da guerre e fame, in cerca non di privilegi, ma di vita; bambini, donne e tanti innocenti le cui grida di dolore sovrastano il fragore delle bombe; la cura del pianeta, minacciato da uno sfruttamento cieco e irresponsabile; l’equilibrio fragile tra le potenze, che ha bisogno di prudenza, di diplomazia, di saggezza. Per questo, mi permetto di sollecitarla a unirsi a noi in un impegno costruttivo, che veda gli Stati Uniti protagonisti non soltanto nel ripristino della sicurezza internazionale, ma soprattutto nella promozione di uno sviluppo integrale e solidale. Il Vangelo ci ricorda: “(…) ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere; ero forestiero e mi avete ospitato” (Matteo 25,35). La nostra casa comune, la Terra, geme sotto il peso di forme dominanti, che spesso si trasformano in sfruttamento e tirannia; la verità, fondamento della fiducia pubblica, non può essere sacrificata sull’altare della convenienza o della propaganda. Anche i più forti, anche i più ascoltati, hanno bisogno di luce. La luce della speranza non si spegne mai in chi cerca la verità e il bene con cuore sincero. Si ricordi che la pace è sempre possibile e che essa, prima ancora che dai trattati, nasce dalle coscienze illuminate.
L’attendo a Roma con rispetto e apertura, non per discutere di questioni di potere, ma per condividere una visione. Fin d’ora Le assicuro la mia preghiera per Lei, per la Sua famiglia, per il popolo americano che rappresenta, e per quei popoli del mondo che guardano a Lei con attesa, speranza e timore.
Che il Dio della pace illumini il Suo cammino!
Con fraterna stima”.
Papa Leone XIV