Jorge Mario Bergoglio, argentino, primo papa gesuita e primo sudamericano sul soglio di Pietro, ha portato in Vaticano lo spirito degli ultimi. Un prete di strada prima che un uomo di Curia, ha scelto Casa Santa Marta, non il palazzo apostolico, simbolo di una Chiesa “in uscita”, missionaria, ospedale da campo. Il suo primo viaggio nel 2013 a Lampedusa, lì dove il Mediterraneo è diventato un cimitero.
Con lui partono le riforme della Curia e dello Ior, istituisce la Commissione cardinalizia, promulga la nuova Costituzione apostolica “Predicate Evangelium” (2022) e una prima storica: una donna, suor Simona Brambilla, a capo di un Dicastero. Prosegue la linea dura contro gli abusi, sulla scia di Benedetto XVI.
Papa Francesco è anche l’uomo del dialogo. Nel 2016, a Cuba, abbraccia il Patriarca ortodosso Kirill: il primo incontro tra le due Chiese, un evento atteso dallo scisma del 1054 che divise la Chiesa cristiana in Oriente e Occidente. Un gesto che parla più di mille documenti. E con l’Islam il salto è epocale: nel 2019 firma ad Abu Dhabi, con il Grande Imam di Al-Azhar, un documento sulla fratellanza umana, punto di svolta nei rapporti tra fedi.
Ha pianto per l’Ucraina ai piedi dell’Immacolata, ha denunciato la «situazione ignobile» a Gaza, ha chiesto la pace quando sembrava impossibile. «Dialogate con tutti», ha detto nel 2025 al corpo diplomatico. Anche con chi è scomodo.
Dall’Iraq alla Mongolia, Francesco ha incarnato il mandato missionario. Ha toccato le comunità più piccole e dimenticate, attraversato Asia e Oceania in un viaggio record di 12 giorni tra Indonesia, Papua Nuova Guinea, Timor Est e Singapore. Il suo pontificato è un atlante aperto: la mappa del mondo attraversata per portare un messaggio di speranza e dignità. Emblematica la scelta di aprire la Porta Santa del Giubileo della Misericordia non a Roma, ma a Bangui, in Centrafrica, nel cuore di un continente ferito. Come a dire: il centro della cristianità non è più solo Roma, ma dove c’è sofferenza. Le sue encicliche segnano tappe decisive: “Laudato Si’” (2015), non solo “verde” ma sociale, una denuncia radicale dell’economia dell’esclusione; “Fratelli tutti” (2020), manifesto contro il «deficit di fraternità»; “Lumen Fidei” (a 4 mani con Benedetto XVI); “Dilexit Nos” (2024), per un mondo col cuore spento.
Francesco parla di ecologia integrale, ma anche di giustizia sociale. Alla Cop28 ha chiesto azioni vincolanti, monitorabili, per una transizione ecologica che non lasci indietro nessuno. E le fonti fossili da abbandonare senza indugi. Una voce, la sua, sull’economia che spiazza i potenti. Attenzione per gli ultimi, gli scartati, quando ha iniziato a parlare di economia lo ha fatto con degli affondi molto precisi e duri nei confronti del paradigma dominante. «I poveri non possono aspettare». Francesco ha demolito, con parole semplici e affilate, il mito del trickle-down o “teoria della cascata”, ossia l’idea che grazie ai benefici loro concessi, come tagli fiscali o incentivi, i ricchi investiranno tali risparmi, creando posti di lavoro e stimolando la crescita economica, che poi “gocciolerà” verso il basso, beneficiando anche i più poveri.
Il suo pensiero ha ispirato molto anche i non cattolici, in particolare le sue encicliche economiche sono state accolte dai non credenti. La povertà, con l’assistenzialismo, la si anestetizza ma non la si combatte, il vero obiettivo dovrebbe essere quello di consentire una vita degna mediante il lavoro, che è la porta della dignità. Nel 2017, agli operai dell’Ilva a Genova, parlò di lavoro libero, creativo, solidale. Nel 2023, al Festival dell’economia civile, rilanciò l’idea di un’impresa generativa: profitto sì, ma con impatto sociale. Economia sì, ma con la dignità al centro.
Lontano da ogni catastrofismo, ma attento, sull’intelligenza artificiale Francesco non ha mai detto “no” in blocco. Ne ha compreso le potenzialità, ma ha messo in guardia: le armi autonome sono una deriva pericolosa. «Non può decidere una macchina chi vive e chi muore».
Papa Francesco ha rivoluzionato anche la comunicazione. Indimenticabile la sua solitaria preghiera sul sagrato deserto durante il lockdown. Iconica la sua presenza in sedia a rotelle nella notte di Natale: la fragilità non è debolezza, ma umanità. Nel 2022 ha celebrato le esequie di Benedetto XVI, ricordandone la mitezza. Un passaggio di testimone sobrio e profondo. I pontificati non si giudicano nel momento. La Storia li guarda con il tempo. Francesco lo sa. Serve un cambio di paradigma. Più che costruire muri, ha sempre cercato di costruire ponti: tra fedi, tra popoli, tra generazioni, tra credenti e non. La sua dottrina sociale è attraversata dal valore della prossimità, all’insegna della fratellanza con tutti i popoli del nostro pianeta. E ha chiesto alla Chiesa di farlo davvero. Il Papa che ha scelto la sobrietà al trono, i poveri al potere, la periferia al centro, sceglie anche di tornare alla terra, senza marmo né monumenti, sotto lo sguardo di Maria, dove ha iniziato e concluso ogni suo cammino. Un Papa che ha vissuto come un pellegrino tra gli scartati, chiede ora solo una manciata di terra e un nome inciso sul silenzio. “Franciscus”. Nient’altro.
Bentornato,
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