Le elezioni regionali si avvicinano e tra qualche settimana al massimo le fibrillazioni dovranno necessariamente partorire delle scelte definitive. In Puglia come in Campania, ma altrettanto nelle altre quattro amministrazioni regionali chiamate a rinnovarsi dopo cinque anni: Veneto, Marche, Toscana e Valle d’Aosta. Così, se da un lato questo risiko rallenta i tempi delle decisioni da prendere, dall’altro le condiziona rischiando, come già accaduto in passato, di imporre soluzioni al ribasso che finiscono per far alimentare anche la quota di astensionismo.
Gli incontri romani e quelli regionali si intrecciano e si susseguono, con i leader e i loro colonnelli e capibastone impegnati a far accettare agli alleati i criteri di assegnazione delle candidature più funzionali al proprio schieramento. Criteri ovviamente che mutano per le diverse forze in campo se si punta a cristallizzare gli equilibri di coalizione o se all’opposto li si vuol ridefinire e scardinare.
A questo primo fronte di tatticismo concorrenziale se ne aggiunge un secondo, non meno importante rispetto al primo, che è quello della scelta del candidato alla carica presidente. E anche su questo diverso piano del confronto, si rinnova il solito copione visto già molte volte in passato, fatto di fughe in avanti, di candidature annunciate come intoccabili ma che si sgonfiano clamorosamente dopo qualche giorno, di rotture clamorose o di alleanze altrettanto sconvolgenti.
Un canovaccio di paletti, ambizioni, sgambetti e pretese che appartiene alla più classica delle sceneggiature elettorali. Insomma stiamo vivendo l’ennesima stagione elettorale segnata dal solito conformismo. Nulla, praticamente nulla, di nuovo sotto al sole. Ecco perché, anche per provare a bonificare e rivitalizzare la palude nella quale ci troviamo adesso, proverò a dare un consiglio, ovviamente non richiesto, ai leader e ai partiti, impegnati in questo sforzo titanico, ma ancora di più cercherò di restituire una centralità a quelle figure mitologiche che vivono nell’ombra delle scelte elettorali, ma che hanno un peso determinante: gli organizzatori delle liste.
Ai primi, senza apparire spocchiosi o banali, andrebbe comunque rammentato che tutti i candidati sono in partenza e in potenza degli ottimi competitori per vincere le elezioni, solo che andrebbero indicati, ufficializzati, impalmati per tempo e non per una resa condizionata agli alleati. È capitato in più occasioni, si pensi per esempio all’indicazione di Paolo Truzzi per le regionali in Sardegna, che il ritardo enorme con il quale è arrivata l’ufficializzazione ha finito per zavorrare le possibilità di vittoria. A maggior ragione oggi che la comunicazione politico-elettorale è quasi tutta centrata sul rapporto che il candidato riesce a instaurare con i follower.
L’infosfera, a dispetto di quanto si possa pensare, per generare fiducia e per convertire questa in consenso ha bisogno di un legame diacronico, di una quotidianità prolungata e non si polarizzazioni improvvise e contingenti. Ai secondi, come potremmo chiamare benissimo gli “ingegneri delle liste” elettorali, va invece riconosciuto finalmente una competenza che nessun candidato presidente può snobbare, o peggio farne a meno, se pensa di aver qualche chance di tagliare il traguardo per primo.
Questa categoria speciale di “ingegneri” si sono laureati sul campo, non hanno fatto scuole particolari, anche perché quelle serie i partiti le hanno chiuse da tempo, mettono a frutto anni e anni di relazioni, di conoscenza di micro-equilibri e di micro-carriere che possono apportare alla causa generale un contributo fondamentale. Nelle loro mani, più che in quelle di tutti agli altri protagonisti di una commedia elettorale, c’è il futuro di carriere politiche, dalle loro scelte dipende l’elezione o meno dei candidati che provano a essere eletti nei consigli regionali. Come detto, sono figure ai quali nessuno fa caso, vivono all’ombra del leader, che non si prendono i titoli dei giornali, che salgono sui palchi, ma nessuno più di loro possono decidere gli esiti di un’elezione.