Osteggiare il ministro è un suicidio

Avete presente quando una squadra di calcio italiana gioca in Champions League? Spesso, troppo spesso, a tifare contro sono non i tifosi dell’avversaria spagnola, tedesca o magari francese di turno, ma quelli di altri club italiani. E pazienza se gli eventuali risultati negativi fanno scivolare l’Italia nel ranking Uefa penalizzando così tutte le squadre di casa nostra: per l’interista è più importante che il cugino milanista sia sconfitto (o viceversa, per carità) e magari lo stesso vale per il napoletano nei confronti dello juventino.

In politica, che come il calcio dà sfogo agli istinti più bassi che albergano nell’animo umano, avviene la stessa cosa. Prova ne è l’ostracismo che certi partiti ed esponenti politici stanno manifestando nei confronti della candidatura del ministro Raffaele Fitto a commissario europeo.

Un esempio? Nichi Vendola, numero uno di Sinistra Italiana, ha detto che non sosterrebbe Fitto «nemmeno sotto tortura». Lo ha fatto dal palco della Festa dell’Unità, mentre accanto aveva Antonio Decaro, europarlamentare del Pd, che ha invece speso buone parole per il ministro: «È uno dei pochi con i quali si possa parlare, sarebbe un ottimo commissario». In sintonia con Decaro il governatore pugliese Michele Emiliano e quello campano Vincenzo De Luca che con il ministro hanno ingaggiato uno scontro politico (e anche giudiziario, nel caso di De Luca) per le risorse del Fondo di sviluppo e coesione: «Fitto è una risorsa», ha chiarito il primo; «Quando è in gioco un italiano dobbiamo sostenerlo», ha poi aggiunto il secondo.

A differenza di Vendola, dunque, Decaro, Emiliano e De Luca hanno compreso che il mancato sostegno di tutte le forze politiche a Fitto sarebbe un clamoroso errore strategico. Il ministro è uno dei (forse) pochi esponenti del governo Meloni che possa ambire a un ruolo di primo piano nella Commissione di Bruxelles in virtù di esperienza politico-amministrativa, conoscenza dei dossier e vocazione europeista. Senza dimenticare che Fitto è un uomo del Sud e, come tale, ben conosce i problemi che affliggono quest’area.

Il no a Fitto, inoltre, farebbe cadere certa sinistra in contraddizione. Non si può, un giorno, predicare l’unità del Paese compromessa dall’autonomia differenziata e, il giorno successivo, evocare lo “sgambetto” al ministro tralasciando il rischio di assestare, in questo modo, un duro colpo alla credibilità e agli interessi di tutta l’Italia.

E poi ci sono due precedenti. Uno riguarda proprio Fitto che, nel 2019, convinse i Conservatori a sostenere la nomina del progressista Paolo Gentiloni a commissario europeo. Prima ancora, Silvio Berlusconi aveva indicato per quella carica Mario Monti ed Emma Bonino, personalità non ascrivibili al suo mondo ma che il Cavaliere riteneva evidentemente adatte a rappresentare l’Italia in Europa. Ecco, anche nel caso di Fitto è arrivato il momento di andare oltre gli steccati ideologici e dare prova di vera unità: chi dovesse sottrarsi a questo imperativo, se ne dovrà assumere la responsabilità nei confronti dell’Italia e della storia.

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