Lo Spirito Santo – si sa – è rappresentato come una colomba che scende dall’alto. Stavolta, attorno alla canna fumaria della Cappella Sistina, ha pervicacemente svolazzato per due giorni una coppia di gabbiani, non si sa se politicamente corretta o altrimenti composta, ossia formata da individui entrambi di genere maschile (ma forse era tutto in regola: a un certo punto, accanto al papà è apparso un implume pellicanuccio).
Sia come sia, l’elezione del nuovo pontefice cattolico – dunque “universale” – è stata in ogni caso e sicuramente un miracolo di rapidità, sia pure preparato da una dozzina di giorni di intense consultazioni tra i porporati: imparino dall’antica e sperimentata saggezza di questo metodo i politici di tutti i colori e Paesi che sono chiamati alle decisioni di loro competenza, molte delle quali senz’altro meno impegnative di questa. Statunitense (ed è la prima volta per il soglio di Pietro), moderato, cioè non dell’ala dei porporati trumpiani e pro Vance; di Chicago, ma con un’origine familiare europea (francese, come suggerisce il cognome, italiana e spagnola), Robert Francis Prevost ha lavorato a lungo in Perù come mediatore tra il presidente Fujimori e i ribelli di “Sendero luminoso”, poi in Curia a Roma, chiamato da Bergoglio alla cruciale prefettura competente a seguire le nomine dei vescovi, circostanza che lo ha reso popolare tra questi, molti dei quali in seguito divenuti appunto cardinali.
Una scelta di compromesso tra i bergogliani spinti e i tradizionalisti. Eletto per ricucire divisioni, affacciandosi per la prima volta nel ruolo dalla loggia centrale della Basilica di San Pietro ha infatti parlato di unità tra fedeli e pastori (e di entrambe le categorie al loro interno), nonché molto di pace e della necessità di costruire ponti, che è tra le denominazioni e gli scopi istituzionali della sua alta funzione. Un buon auspicio: si chiamerà Leone XIV; Leone XIII fu l’autore della “Rerum Novarum”.
Speriamo dunque in un papa aperto al confronto con la modernità e coi diritti dei lavoratori e dei più fragili, ricordando che lo stesso Francesco si era congedato parlando, tra l’altro, in una delle sue ultime esternazioni, anche di sfida degli spiriti religiosi e in nome della fraternità umana all’intelligenza artificiale. Infine, un agostiniano, consapevole che sulla terra si frammischiano due città, quella di Dio e un’altra mondana, certo divise da valori e visioni, evidentemente non equivalenti per Valore e Verità in una prospettiva di fede, ma destinate comunque a cooperare in concreto, sostenendosi vicendevolmente in nome della comune fragilità e fraternità della condizione umana. Abbiamo bisogno – anche chi non crede – di una Chiesa stabile e proiettata a spendersi sempre di più e con efficacia crescente per fare superare i contrasti in seno agli uomini e fra Paesi in conflitto nel mondo. Buon lavoro, Santità.
Bentornato,
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