Raramente, nel nostro Paese, il dibattito politico ha avuto livelli così tristemente sterili. Tanto sui media tradizionali quanto sui social si parla e si scrive di candidati, di ipotetici futuri ministri e non mancano battute feroci gratuite tra i personaggi di questo circo che è diventata la politica italiana. Quello che stiamo osservando in questi giorni rappresenta un paradosso: il momento politico nel quale più alto e approfondito dovrebbe essere il confronto tra le forze che si contendono il risultato elettorale, si riduce ad un inseguirsi sui talk o ad insultarsi su Twitter. L’attenzione non è focalizzata sui programmi, bensì sulla spasmodica ricerca di una collocazione che permetta di acquisire spazi per candidature ed, eventualmente, un seggio in Parlamento. La tentazione si fa ancora più serrata a causa della diminuzione dei posti disponibili. Non c’è che dire, il quadro è desolante. Ciriaco De Mita direbbe che siamo di fronte ad una flotta di topini ciechi alla ricerca di un pezzettino di formaggio. Quale che sia il suo sapore o il suo contenuto. Da destra e da sinistra si procede in due modi entrambi inadeguati.
A destra si va avanti per slogan senza progetto; a sinistra si assiste ad uno sterile dibattito nel quale ciascuna delle forze politiche mette l’accento su differenti ipotesi che si dimostrano inconciliabili tra loro. Il bipolarismo – che la legge elettorale dovrebbe assicurare almeno in parte – di fatto non esiste più, se non formalmente. Valga un esempio: il segretario del Pd sostiene che basta presentarsi uniti per vincere: come dire l’importante è vincere, facendo l’ammucchiata. Proporre un progetto di governo diventa un fatto secondario.
Se la situazione non fosse seria verrebbe da ridere. Sembra che alle forze politiche sfugga un particolare: non basta superare la parte avversa, magari per una manciata di voti, ma occorre avere un programma che tenga conto della difficile situazione.
Il Paese si governa sulla base delle idee e non soltanto dei numeri. A nessuno sfugge che – a causa della grave crisi economica – le tensioni sociali sono altissime, che le prospettive di vita di larga parte della collettività sono a dir poco allarmanti, che le sfide contenute nel Pnrr implicano sforzi mastodontici da parte sia del ceto politico sia dei poteri pubblici.
Di fronte all’immane impegno che attende il prossimo esecutivo non basta il richiamo all’agenda Draghi per due motivi: perché quell’agenda è già stata dettata dall’Europa e nessuna coalizione può eluderla; perché il governo che verrà dovrà fornire soluzioni concrete e praticabili per le esigenze dei cittadini.
Al riguardo è forse il caso di ricordare che gli elettori hanno diritto – diciamo meglio avrebbero – di scegliere su programmi chiari e non sulla scorta di dibattiti e polemiche che alimentano soltanto una sterile incertezza.
Siamo di fronte a una situazione che si è prodotta negli ultimi decenni e che ha un andamento certamente preoccupante: il progressivo calo della partecipazione alle elezioni degli ultimi anni ha segnato un minimo già rischiosissimo, dimostrando quanto oramai sia forte lo scollamento tra poteri pubblici e collettività.
È su questo delicatissimo crinale che bisogna lavorare proprio in vista della sfida elettorale. La situazione è ricca di incognite e può produrre per questo un aumento dell’astensionismo. Se ciò accadesse qualunque governo dovrebbe camminare su sottili lastre di ghiaccio. Basterà questa semplice osservazione a mettere fine alle “baruffe chiozzotte” di queste settimane?
Luigi Santini è professore emerito di Chirurgia generale all’Università Vanvitelli di Napoli