Pensate a un piccolo borgo pugliese di circa mille abitanti come Anzano o Giuggianello. Oppure, se preferite la Basilicata, immaginate Montemurro o Colobraro. Adesso cancellate uno di quei paesi dalla cartina geografica con tutti i suoi abitanti. Ecco, questo è ciò che è accaduto sul fronte dei morti sul lavoro nell’arco del 2024.
Il bilancio finale, certificato dall’Inail, parla di 1.090 vittime, quasi tre al giorno: un’autentica strage che, oltre a sbugiardare chi continua a sostenere che le morti bianche siano in diminuzione rispetto al passato, impone una volta per tutte l’adozione di contromisure rapide ed efficaci. Partiamo, come sempre, dai numeri. Da gennaio a dicembre dello scorso anno i morti sul lavoro sono stati 797, ai quali vanno però aggiunti quelli deceduti nel tragitto da casa al percorso di lavoro che si sono attestati a quota 280. Ancora, se a questi dati si somma quello degli studenti tutelati dall’Inail, si raggiunge la cifra-monstre di 1.090. In altre parole, ogni giorno, in Italia tre persone si alzano, fanno colazione, si preparano, vanno al lavoro e a casa non tornano più: tutte morte. Inaccettabile.
Se si scende nel dettaglio, si scopre che le denunce per infortunio sono state 414.853, in calo di quasi due punti rispetto al 2023, e che, in alcune regioni come la Puglia, le tragedie sono diminuite di 18 unità. L’entusiasmo cede ben presto il passo allo sgomento, se si pensa che in territori come Toscana, Lazio e Sicilia quelle stesse tragedie sono aumentate rispettivamente di 16, 14 e 13 unità, con la conseguenza che nel Centro si è passati da 134 a 155 casi e nelle Isole da 70 a 92.
Quanto all’età delle vittime, l’Inail ha registrato un’impennata del loro numero nella fasce tra 25 e 29 anni, tra 35 e 39, tra 45 e 54, tra 60 e 64 e infine tra gli over 69. E se comparti come agricoltura e commercio hanno fatto segnare un calo, gli incidenti mortali sono cresciuti sensibilmente in industria e servizi, costruzioni, trasporto e magazzinaggio.
Davanti all’evidenza dei numeri, anche i più cocciuti dovrebbero prendere coscienza della gravità della situazione. E, soprattutto, sarebbe il caso che a Palazzo Chigi si aprisse immediatamente un tavolo per concordare azioni congiunte tra istituzioni pubbliche, imprese e sindacati per arginare morti bianche, incidenti sul lavoro e malattie professionali. Già, perché gli strumenti per fermare la strage ci sono, sebbene la politica, al netto delle rituali e periodiche manifestazioni di buona volontà, dimostri di non considerarli una priorità assoluta.
Il primo è il più banale: assumere più ispettori in modo tale da intensificare i controlli. Ricordate la tragedia di Brandizzo, in Piemonte, dove nel 2023 cinque operai che lavoravano sui binari furono uccisi da un treno in corsa? Ecco, nel distretto di Torino-Aosta di cui Brandizzo fa parte, gli ispettori del lavoro erano appena 95, di cui 45 deputati a controllare salute e sicurezza, a fronte di 234mila imprese: ciò consentiva di svolgere meno di un controllo ogni sei anni. Non c’è bisogno di aggiungere altro.
Il secondo suggerimento è utilizzare la tecnologia: un recente studio ha dimostrato come l’intelligenza artificiale sia in grado di individuare con anticipo le aree più a rischio, in modo tale da concentrare proprio lì non solo i controlli, ma anche gli incentivi e i sussidi alle imprese che investono in sicurezza. E poi si può pensare ad altre strategie come coinvolgimento dei lavoratori nell’organizzazione del lavoro, miglioramento delle gare d’appalto e punteggi per le aziende che vadano oltre la “patente”. Altrettanto necessario è cambiare la formazione dei lavoratori in materia di sicurezza, rivedendo i programmi, eliminando i tecnicismi, adeguando i percorsi al livello di istruzione e alle capacità di comprensione della platea. Tutto questo resta da fare: qualcuno, soprattutto a Roma, dovrebbe accorgersene e rimboccarsi le maniche per evitare un’altra ecatombe tra i lavoratori.
Bentornato,
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