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Nuove famiglie crescono, ora è tempo di ascoltarle

La famiglia non è un santino da incorniciare, ma un organismo vivo che respira, cambia, sanguina. Eppure in Italia ne veneriamo ancora una versione imbalsamata mentre la realtà esplode sotto i nostri occhi: il 30% delle unioni va in frantumi, le coppie di fatto sono raddoppiate in un decennio e oltre un terzo dei bambini nasce fuori dal matrimonio. Numeri che urlano una verità scomoda: la famiglia “tradizionale” è diventata l’eccezione, non la regola.

Continuiamo a parlare di “famiglia” come fosse un monolite sacro, ignorando brutalmente la metamorfosi in atto. Le famiglie monoparentali – spesso madri sole – vengono abbandonate a se stesse, mentre quelle omogenitoriali restano intrappolate in un limbo di diritti negati e pregiudizi. Dietro questa resistenza al cambiamento si nasconde una paura ancestrale: riconoscere che gli affetti possono esistere al di fuori degli schemi tradizionali, significherebbe ammettere che il nostro stesso modello di riferimento è solo una delle tante possibilità.

Le proiezioni Istat disegnano un futuro inequivocabile: entro il 2043 avremo 27 milioni di famiglie (+930mila rispetto al 2023), ma sempre più piccole e frammentate. Il numero medio di componenti precipiterà da 2,25 a 2,08 persone. Quasi il 43% saranno “famiglie senza nuclei” – persone sole – contro il 38,3% attuale. Invecchiamento, crollo delle nascite e matrimoni che implodono stanno ridisegnando il panorama demografico italiano, eppure le nostre istituzioni sembrano incapaci di adattarsi a questa nuova realtà.

Le nostre politiche familiari? Un paradosso tragicomico. A volte si tratta di misure pensate per un modello familiare in via d’estinzione, che ignorano sistematicamente le nuove configurazioni, perpetuando disuguaglianze e abbandonando chi avrebbe bisogno di più sostegno. Bonus e agevolazioni privilegiano ancora il matrimonio tradizionale, mentre le famiglie “non convenzionali” devono navigare in un labirinto burocratico per ottenere riconoscimenti che dovrebbero essere automatici.

La cogenitorialità – diritto fondamentale dei bambini/e a mantenere legami stabili con entrambi i genitori dopo una separazione – in Italia resta una chimera giuridica. Mentre i Paesi Bassi riconoscono legalmente quattro genitori e la Svezia introduce congedi genitoriali neutri di 480 giorni da dividere liberamente, noi ci trasciniamo tra accordi informali e tribunali congestionati. Il risultato? Un sistema che trasforma i bambini in pedine di giochi di potere e rivalsa tra adulti, ignorando che la vera famiglia sopravvive anche alla fine dell’amore romantico (almeno si spera).

Eppure la scienza parla chiaro: i figli di separati con cogenitorialità effettiva sviluppano il 40% in meno di disturbi ansiosi. Cresce sano chi può contare su una rete affettiva solida, non chi vive in una “famiglia tradizionale” disfunzionale. La vera domanda non dovrebbe essere “qual è la forma giusta di famiglia?”, ma “questa famiglia è capace di amore, rispetto e sostegno reciproco?”.

È tempo di smettere di giudicare e iniziare ad ascoltare. Ascoltare le storie delle famiglie ricostituite, dove nuovi legami si intrecciano con quelli precedenti creando reti di supporto complesse. Ascoltare le famiglie adottive, che dimostrano come la genitorialità non sia questione di Dna ma di cuore. Ascoltare le famiglie omogenitoriali, che spesso devono dimostrare il doppio della competenza genitoriale per ottenere metà del riconoscimento. L’amore non ha bisogno di certificati per poter essere ritenuto autentico a tutti gli effetti.

Finché continueremo a misurare la famiglia “in carta bollata” anziché in abbracci e presenza, resteremo prigionieri di un’illusione ormai abbondantemente superata. Un modello che forse, a ben guardare, non è mai veramente esistito se non nelle cartoline ingiallite di un passato mitizzato, dove il prezzo dell’apparente stabilità era spesso il silenzio su innumerevoli e atroci sofferenze personali.

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