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Non si può essere prima giocatore e poi arbitro

Sono stato chiamato ad intervenire, nella mia qualità di Presidente dell’Ordine degli Avvocati di Bari, all’incontro organizzato dall’ANM in occasione della giornata in cui è stata proclamata l’astensione dalle udienze dei Magistrati (la M maiuscola non è casuale), il cui titolo è particolarmente accattivante: La riforma costituzionale della magistratura (questa volta la m è minuscola perché così riportata nel manifesto): quale GIUSTIZIA per i cittadini?”

I temi sono sostanzialmente due: la cosiddetta separazione delle carriere tra Giudice e Pubblico Ministero nonché le modalità di scelta dei componenti togati del Consiglio Superiore della Magistratura. Con riferimento al primo dei due si deve partire da:” Ogni processo si svolge nel contraddittorio delle parti davanti ad un giudice terzo ed imparziale”.

Non si tratta di uno slogan utilizzato in uno di quei talk show in cui solitamente tutti urlano rendendo incomprensibile all’ascoltatore ciò che si sta dicendo ma di qualcosa di molto più serio: è il testo del secondo periodo dell’art. 111 della nostra Costituzione. Giudice terzo ed imparziale, non due parole tra loro complementari (quelli bravi la chiamano endiadi) ma due concetti forti e distinti: equidistanza del Giudice tra le parti processuali ed indifferenza del Giudice rispetto all’oggetto del processo.

A questo punto il riferimento sportivo, per quanto apparentemente banale, può servire a rendere comprensibile il concetto anche a chi non è mai entrato e non entrerà mai in un Palazzo di Giustizia: è ammissibile che l’arbitro possa appartenere ad una delle due compagini che si contendono la partita (accusa e difesa) ovvero è possibile che chi ha precedentemente militato in una squadra si ritrovi ad arbitrarla?

La risposta negativa è assolutamente scontata non perché si intenda mettere in discussione l’onestà intellettuale di chicchessia ma perché agli occhi del cittadino quantomeno non apparirebbero rispettati i principi di terzietà ed imparzialità. Ho detto “quantomeno non apparirebbero rispettati” e non “non sarebbero rispettati” ma, si sa, la moglie di Cesare non è sufficiente che sia casta, è necessario che appaia anche tale.

La seconda, e più complicata, questione riguarda il sistema di individuazione dei componenti togati del Consiglio Superiore della Magistratura mediante sorteggio. Ho un pessimo rapporto con il sorteggio, derivante da un trauma giovanile: il mio severissimo Professore di latino e greco, un dottissimo Gesuita, decideva giornalmente chi interrogare sorteggiando il malcapitato con i numeretti della tombola che custodiva in un inaccessibile sacchetto; non so per quale diabolica combinazione veniva sempre fuori il numero corrispondente al mio nome sul registro di classe.

Passando dal personale al più delicato aspetto istituzionale, sono nuovamente costretto ad utilizzare riferimenti sportivi ed in particolare l’espressione utilizzata da un calciatore in un’intervista resa alla fine della partita: “sono assolutamente d’accordo con il mister ma a metà”.

Certamente selezionare i componenti di un organo costituzionale, rappresentativo di un ordine, rischia di minarne la rappresentatività e quindi l’autorevolezza; ed allora in cosa consiste l’altra “metà”? La risposta sta in un’ ulteriore domanda: perché siamo arrivati a questo? La risposta sta in una serie di interventi con cui tutti i Presidenti della Repubblica, da Sandro Pertini in poi, hanno più volte esortato ad abbandonare le inammissibili logiche correntizie.

Due esempi: Presidente Sergio Mattarella, al plenum straordinario del CSM del 21 giugno 2019 all’indomani del caso Palamara: “ il coacervo di manovre nascoste, di tentativi di screditare altri Magistrati, di millantata influenza, di pretesa di orientare inchieste e condizionare gli eventi, di convinzione di poter manovrare il CSM, di indebita partecipazione di esponenti di un diverso potere dello Stato” sono “in totale contrapposizione con i doveri basilari dell’ordine giudiziario e con quel che i cittadini si attendono dalla magistratura”. Presidente Oscar Luigi Scalfaro, 23 dicembre 1992, “ L’importante è che ciascuno, nel momento in cui giudica se un collega sia idoneo o meno, si dimentichi di quale settore fa parte nella varia distribuzione interna… Una virgola di tentativo di avere più benevolenza per chi ha lo stesso gruppo sanguigno porterebbe loro agli stessi mali che noi parlamentari a volte abbiamo generato”.

È arrivato il momento di concludere: se la preoccupazione, non so per il vero quanto fondata, è l’ipotetico condizionamento del potere giudiziario da parte dell’esecutivo si sappia che l’Avvocatura sarà un baluardo insuperabile perché la Magistratura rimanga un organo autonomo ed indipendente da ogni altro potere. Se un Avvocato non fosse assolutamente certo che il Magistrato con cui si confronta è assolutamente libero da ogni condizionamento non gli resterebbe che cambiare immediatamente mestiere.

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